Regia: Rino Di Silvestro. Soggetto: Rino Di Silvestro.
Sceneggiatura: Rino Di Silvestro, Angelo Sangermano. Fotografia: Fausto Rossi.
Direttore di Produzione: Diego Alchimede. Montaggio: Angelo Curi. Musiche:
Franco Bixio. Produttore Esecutivo: Giuliano Anellucci. Riprese
Automobilistiche: S. A. C. I. di Sergio Mioni. Scenografie e Costumi:
Piervittorio Marchi. Operatore alla Macchina: Gianfranco Turini. Assistente
Operatore: Mario Bagnato. Ispettore di Produzione: Arrigo Peri. Segretario di
Produzione. Silvano Gentili. Segretaria di Edizione: Marialuce Faccenna. Aiuto
Regista: Giuliano Anellucci. Assistente al Montaggio: Maria Pia Appetito. Aiuto
Montaggio: Bruno Sgueglia. Fonico: Domenico Dubbini. Microfonista: Benito
Alchimede. Fotografo di Scena: Angelo Pennoni. Truccatore: Michele Trimarchi.
Parrucchiere: Salvatore Cotroneo. Aiuto Trucco: Ada Morandi. Aiuto Scenografo:
Rocco Romano. Sarta: Giuseppina Rossi. Effetti Speciali. Celeste Battistelli.
Teatri di Posa: De Paolis Incir (Roma). Rumorista: Luciano Anzellotti.
Registrazione Sonora: Westrex Sistem Recording, eseguita presso CDS, con la
partecipazione della CD. Mixage: Romano
Pampaloni. Colore: Luciano Vittori. Pellicola: Kodak Eastmancolor. Canzone: Lettera da un carcere femminile di P.
Lepore e F. Bixio, cantata da Malia Rocco (IT Dischi Italia Edizioni).
Distribuzione: Overseas Film Company. Casa di Produzione: Angry Films.
Interpreti: Anita Strindberg, Eva Czemerys, Olga Bisera, Jenny Tamburi, Valeria
Fabrizi, Cristina Gaioni, Jane Avril (Maria Pia Luzi), Paola Senatore,
Gabriella Giorgelli, Bedy Moratti, Umberto Raho, Massimo Serato, Roger Browne,
Annie Edel, Franco Fantasia, Carlo Gentili, Giulio Maculani, Elisa Mainardi,
Pino Mattei, Valeria Mongardini, Gianni Pesola, Ada Pometti, Paolo Sceusan,
Rosita Torosh.
Slvatore Di Silvestro, detto Rino, nato a Roma il 30
gennaio 1932 e morto il 3 ottobre 2009, comincia dal teatro con lo spettacolo Op bop pop nip, rappresentato al Teatro
delle Muse della capitale, per poi passare al cinema. Scrive molte
sceneggiature, spesso anonime, e il suo debutto alla regia avviene con il suo
titolo migliore: Diario segreto da un
carcere femminile (1973), realizzato senza aver fatto precedenti esperienze
con la macchina da presa. Dirige altri sette film, meno riusciti del primo,
commerciali ma tecnicamente ben fatti: Prostituzione
(1974), La lupa mannara (1976), Le deportate della sezione speciale SS (1976),
Baby love (1978), Bello di mamma (1979), e Hanna D. - La
ragazza del Vondel Park, firmato Alex Berger e - come scrive Roberto Poppi
- realizzato in collaborazione con Bruno Mattei. Di Silvestro contestava con veemenza l'apporto di Mattei al film, asserendo di aver fatto tutto da solo. Cleopatra regina d’Egitto (1984) - firmato Cesar Todd - sarebbe stato girato da Camillo Teti, mentre Di Silvestro (a suo dire) averebbe scritto solo la sceneggiatura. Versione dei fatti contestata da un'attrice presente sul set che affermò più o meno: "Me ne scappai dal set perché il regista pretendeva troppo..." (e si riferiva a Di Silvestro).
Riproponendomi di tornare a parlare di un regista interessante come Di Silvestro, affrontiamo il suo straordinario esordio, che sembrava preludere a un miglior utilizzo del talento e a una produzione più vasta e compiuta. Vediamo la trama di Diario segreto da un carcere femminile, noto anche come Diario erotico di un carcere femminile - titolo della riedizione 1982/83 -, un successo internazionale nel campo del women in prison. Si parte con una sequenza scioccante che prevede la perquisizione anale e vaginale di Daniela (Tamburi) compiuta dalla capo sorvegliante (Bisera) che mostra il dito medio incappucciato in un guanto di plastica. Lo spettatore è subito avvisato. Non si tratta di un film adatto ai benpensanti. Il film si caratterizza per una totale commistione di generi, come se fossero due pellicole fuse in una sola storia: un mafia movie (ma anche gangster movie), un poliziottesco caratterizzato da inseguimenti e sparatorie, e un women in prison, un carcerario che rispetta tutte le convenzioni del sottogenere. Diciamo meglio che dette le coordinate per i prodotti futuri, visto che Di Silvestro è l’iniziatore di un minifilone. Qualcuno ha rubato venti chili di eroina che dalla Svizzera dovevano arrivare in Sicilia, ne fa le spese Daniela - fidanzata del corriere ucciso dalla polizia - ignara di tutto ma arrestata e imprigionata. Da qui si dipana una lotta tra cosche mafiose per tornare in possesso della droga, l’indagine poliziesca e soprattutto un film carcerario straordinario.
Nel Blocco 7 troviamo alcune tra le donne più belle del cinema di genere italiano: Valeria Fabrizi, Olga Bisera, Jenny Tamburi, Paola Senatore, Anita Strindberg, Eva Czemerys… un cast da urlo! Il direttore del carcere è un serioso Massimo Serato, non del tutto cristallino come si scopre alla fine, ma coinvolto nei loschi giri mafiosi. Franco Fantasia, invece, è il commissario di polizia che cerca di risolvere il mistero dell’eroina scomparsa. Tutti suppongono che Daniela sappia dove sia nascosta la droga, per questo gliene fanno passare di tutti i colori, fino a rinchiuderla in cella di segregazione. Morirà avvelenata per aver rivelato poche cose alla Strindberg, figlia di un boss e infiltrata in carcere come confidente della polizia. In galera vediamo il consueto scenario di lesbismo, piccole rivolte sedate dalla polizia, docce nude, sopraffazioni, scene di follia, prevaricazione e una singolare figura di carcerata mafiosa (Czemerys) che pare comandare persino le sorveglianti. Finale tragico per tutti, anche per la Strindberg, che finisce nel burrone a bordo di un’auto, con la macchina da presa che torna a immortalare il carcere con la splendida canzone Lettera da un carcere femminile (Lepore - Bixio), cantata da Malia Rocco, mentre scorrono i titoli di coda.
Riproponendomi di tornare a parlare di un regista interessante come Di Silvestro, affrontiamo il suo straordinario esordio, che sembrava preludere a un miglior utilizzo del talento e a una produzione più vasta e compiuta. Vediamo la trama di Diario segreto da un carcere femminile, noto anche come Diario erotico di un carcere femminile - titolo della riedizione 1982/83 -, un successo internazionale nel campo del women in prison. Si parte con una sequenza scioccante che prevede la perquisizione anale e vaginale di Daniela (Tamburi) compiuta dalla capo sorvegliante (Bisera) che mostra il dito medio incappucciato in un guanto di plastica. Lo spettatore è subito avvisato. Non si tratta di un film adatto ai benpensanti. Il film si caratterizza per una totale commistione di generi, come se fossero due pellicole fuse in una sola storia: un mafia movie (ma anche gangster movie), un poliziottesco caratterizzato da inseguimenti e sparatorie, e un women in prison, un carcerario che rispetta tutte le convenzioni del sottogenere. Diciamo meglio che dette le coordinate per i prodotti futuri, visto che Di Silvestro è l’iniziatore di un minifilone. Qualcuno ha rubato venti chili di eroina che dalla Svizzera dovevano arrivare in Sicilia, ne fa le spese Daniela - fidanzata del corriere ucciso dalla polizia - ignara di tutto ma arrestata e imprigionata. Da qui si dipana una lotta tra cosche mafiose per tornare in possesso della droga, l’indagine poliziesca e soprattutto un film carcerario straordinario.
Nel Blocco 7 troviamo alcune tra le donne più belle del cinema di genere italiano: Valeria Fabrizi, Olga Bisera, Jenny Tamburi, Paola Senatore, Anita Strindberg, Eva Czemerys… un cast da urlo! Il direttore del carcere è un serioso Massimo Serato, non del tutto cristallino come si scopre alla fine, ma coinvolto nei loschi giri mafiosi. Franco Fantasia, invece, è il commissario di polizia che cerca di risolvere il mistero dell’eroina scomparsa. Tutti suppongono che Daniela sappia dove sia nascosta la droga, per questo gliene fanno passare di tutti i colori, fino a rinchiuderla in cella di segregazione. Morirà avvelenata per aver rivelato poche cose alla Strindberg, figlia di un boss e infiltrata in carcere come confidente della polizia. In galera vediamo il consueto scenario di lesbismo, piccole rivolte sedate dalla polizia, docce nude, sopraffazioni, scene di follia, prevaricazione e una singolare figura di carcerata mafiosa (Czemerys) che pare comandare persino le sorveglianti. Finale tragico per tutti, anche per la Strindberg, che finisce nel burrone a bordo di un’auto, con la macchina da presa che torna a immortalare il carcere con la splendida canzone Lettera da un carcere femminile (Lepore - Bixio), cantata da Malia Rocco, mentre scorrono i titoli di coda.
Diario segreto
da un carcere femminile è uno dei
migliori film carcerari italiani, superiore al successivo Prigione di donne (1974) di Brunello Rondi, ispirato al lavoro di
Di Silvestro ma con troppe ambizioni d’autore per rispettare le convenzioni del
genere. Il regista usa molto lo zoom, inserisce movimenti di macchina convulsi
durante le risse carcerarie e le sequenze che fanno pensare al cinema verità.
Non solo, sceglie un’intensa colonna sonora da mafia movie, realizzata da Franco Bixio, aggiungendo un tocco di
musica popolare in romanesco con la canzone della Rocco che sottolinea la
solitudine delle carcerate. Grandi scene di inseguimenti nella parte
poliziesca, per le vie dei paesi laziali e lungo strade sterrate, incidenti
spettacolari, sparatorie credibili, morti orribili in forni crematori e auto
che finiscono sulle scogliere. In prigione molto erotismo perverso, dalla capo
sorvegliante invaghita delle recluse, passando per docce nude e una Valeria
Fabrizi che marca visita per farsi scopare dal medico del carcere.
Buona caratterizzazione dei personaggi: una pazza incendiaria che rischia di mandare a fuoco il carcere (Moratti), la religiosa che tutti chiamano salve regina (Gaioni), la mammasantissima mafiosa (Czemerys), l’algida bellezza misteriosa (Strindberg), l’ingenua Daniela (Tamburi), la napoletana (Fabrizi), l’emiliana (Giorgelli)… Il regista scrive una storia che tende a mettere in evidenza i problemi carcerari con un minimo di attenzione sociale, ma soprattutto affronta le relazioni amorose tra detenute, le piccole gelosie, i rapporti di forza, i clan mafiosi che si creano in un carcere femminile. “La sessualità in carcere è una spinta vitale. Io sono cattolico, ma per me la carne e lo spirito sono la stessa cosa”, dice il regista a Nocturno. Tutto molto credibile, girato con crudo realismo, senza forzature ma soprattutto senza inibizioni e autocensure. Tra le attrici una nota di merito spetta a Jenny Tamburi, ben calata in un ruolo complesso da vittima sacrificale. Brava anche Anita Strindberg come infiltrata che porta con sé un soffio di sensualità nordica, così come Valeria Fabrizi è l’erotismo popolare della napoletana. Il carcere femminile rappresentato da Di Silvestro mette in scena una vera complessità di rapporti e situazioni, le donne imprigionate parlano molti dialetti ed esprimono le diverse abitudini delle terre di origine.
Buona caratterizzazione dei personaggi: una pazza incendiaria che rischia di mandare a fuoco il carcere (Moratti), la religiosa che tutti chiamano salve regina (Gaioni), la mammasantissima mafiosa (Czemerys), l’algida bellezza misteriosa (Strindberg), l’ingenua Daniela (Tamburi), la napoletana (Fabrizi), l’emiliana (Giorgelli)… Il regista scrive una storia che tende a mettere in evidenza i problemi carcerari con un minimo di attenzione sociale, ma soprattutto affronta le relazioni amorose tra detenute, le piccole gelosie, i rapporti di forza, i clan mafiosi che si creano in un carcere femminile. “La sessualità in carcere è una spinta vitale. Io sono cattolico, ma per me la carne e lo spirito sono la stessa cosa”, dice il regista a Nocturno. Tutto molto credibile, girato con crudo realismo, senza forzature ma soprattutto senza inibizioni e autocensure. Tra le attrici una nota di merito spetta a Jenny Tamburi, ben calata in un ruolo complesso da vittima sacrificale. Brava anche Anita Strindberg come infiltrata che porta con sé un soffio di sensualità nordica, così come Valeria Fabrizi è l’erotismo popolare della napoletana. Il carcere femminile rappresentato da Di Silvestro mette in scena una vera complessità di rapporti e situazioni, le donne imprigionate parlano molti dialetti ed esprimono le diverse abitudini delle terre di origine.
La critica alta
non ama il women in prison neppure
quando è ben realizzato. Paolo Mereghetti (una stella): “Di Silvestro (anche
sceneggiatore) millanta impegno civile e abbozza una goffa sottotrama
poliziesca: ma la sequenza dei titoli con le ispezioni anali alle detenute, è
tutta un programma. Nudi e lesbo un po’ ovunque, ma di erotismo neanche
l’ombra: e certe scelte di cast (la slava Czemerys che fa la sicula) gridano
vendetta. All’epoca incassò bene, dando il via a un minifilone sulle carceri
femminili”. Non condividiamo una parola. Di Silvestro non millanta proprio
niente, non esibisce nudi e lesbismo, ma racconta con realismo e passione una
storia ben scritta e sceneggiata senza punti morti. Pino Farinotti concede due
stelle ma non motiva, limitandosi a raccontare la trama, definendo drammatico un film che è una vera e
propria commistione di generi. Marco Giusti (Stracult): “Salutare film d’esordio del carcerario femminile
all’italiana. Opera prima di Rino Di Silvestro con un cast pauroso di stelline
anni Settanta capitanato da Jenny Tamburi. Grande il contributo di Eva
Czemerys, come mafiosa lesbica”. Stefano Di Marino (Tutte dentro!): “Fantastico. Il finale tragico è quasi scontato, ma
il ritmo tiene, la storia ha i necessari sobbalzi, l’accompagnamento musicale e
una certa capacità interpretativa delle prigioniere rendono il prodotto
appetibile”. Concordiamo.
Diario
segreto da un carcere femminile dà il
via a un sottogenere carcerario tutto italiano che sforna film di qualità
altalenante. Di Silvestro fa tutto da solo perché la casa di produzione Angry
Films (Film arrabbiati) è una sua
creatura, messa in piedi con la collaborazione di un amico. Carcere ricostruito
con realismo alla De Paolis. Esce in America come Women in Cell Block 7, in Francia si punta sul sesso: La vie sexuelle dans les prisons de femmes
e in Germania come Mädchen im Knast.
Un film di grande successo internazionale, criticato soltanto da tristi soloni
perbenisti di casa nostra.
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