Regia: Enzo G. Castellari. Soggetto:
Franco Nero, Lorenzo De Luca. Sceneggiatura: Enzo G. Castellari, Lorenzo De
Luca. Fotografia: Mikhail Agranovich. Montaggio: Alberto Moriani. Effetti
Speciali: Celeste Battistelli, Pavel Terekhov. Scenografia: Marco Dentici,
Marksen Gaukhman-Sverdlov. Costumi: Paola Nazzaro. Musica: Fabio Costantini,
Alexander Biliaev, Clive Riche, Knifewing Segura. Produttore: Franco Nero,
Vittorio Noia, Alexandr Shkodo. Produttore Esecutivo: Cesare Noia, Gabriel
Safarian. Casa di Produzione: Project Campo J. V., Silvio Berlusconi
Communications, Viva Cinematografica. Paesi Produzione: Italia, Russia. Titolo
in lavorazione: Nikita Jones. Durata:
88’. Genere: western, azione, dramma. Prima uscita in Italia: 21 aprile 1995.
Interpreti: Franco Nero, John Saxon, Floyd Red
Crow Westerman, David Hess, Rodrigo Obregón, Clive Riche, Ennio Girolami,
Bobby Rhodes, Marie Louise Sinclair, Boris Khmelmitsky, Victor Gainov, Knifewig
Segura, Melody Robertson, Igor Alimov.
Enzo G. Castellari è forse il più
americano dei registi italiani, votato da sempre al cinema d'azione, sia
western che poliziesco, con sconfinamenti nel bellico (Quel maledetto
treno blindato, 1977). Amato da Tarantino, che lo cita a più riprese,
soprattutto in Bastardi senza gloria (2009), e lo considera un maestro.
Jonathan degli orsi è un ottimo western crepuscolare,
girato tra le montagne e le steppe russe di Alabino (Mosca), che
ricorda i fasti di Keoma (1976), ma anche il nordamericano Balla coi lupi (1990) di Kevin Costner,
giocando molto con il meccanismo del flashback che alterna ricordi del
passato a tempo presente. Jonathan è un mezzo sangue indiano, cresciuto
tra gli orsi e i Dakota, dopo che alcuni banditi gli hanno barbaramente ucciso
i genitori.
Il regista racconta l'infanzia del bambino ricorrendo a un meccanismo narrativo caro a Ingmar Bergman, realizzando una sorta de Il posto delle fragole (1957) in salsa western, con il protagonista invecchiato che torna sui luoghi del passato e li osserva da spettatore esterno, rimembrando eventi luttuosi e momenti felici. Jonathan vive per la vendetta, ma è un uomo giusto, consapevole che la pace tra bianchi e indiani sia un sogno impossibile, ma pensa che vada ricercata. Il film è un apologo antirazzista, dalla parte degli indiani e dei neri, mai sdolcinato e romantico, ma spesso crudo e senza speranza (si veda la sequenza della morte dei genitori, ma anche l'uccisione di un bambino indiano).
Le sequenze iniziali composte da ricordi sono fotografate in un bianco e nero anticato, color seppia, per poi tornare al colore quando il bambino seppellisce i genitori al tramonto. Musica country e fotografia poetica sono due valori aggiunti di un film che presenta un montaggio un po' troppo compassato, ma che conferisce un maggior realismo di fondo. Paesaggi russi che si prestano bene, tra corsi d'acqua e steppa, a incarnare l'essenza del vecchio west polveroso e fangoso, lontano mille miglia dal cinema nordamericano e in perfetta sintonia con l'opera di Sergio Leone. Ottimi gli attori.
Franco Nero è fantastico: sguardo glaciale, occhi azzurri, vestito come ai tempi di Keoma (pure lì avevamo un ritorno alle origini e una vendetta), sembra che per lui il tempo non sia passato. Il ruolo da protagonista gli calza a pennello, anche se non tutta la critica è concorde. I cattivi sono straordinari, soprattutto John Saxon, perfido petroliere che vorrebbe sterminare gli indiani ma viene sconfitto da Jonathan, e anche David Hess, pure se sottoutilizzato.
Scenografia curata, dal villaggio indiano ricostruito alla perfezione, a usanze e riti descritti con dovizia di particolari, per finire con il paesino western dotato di immancabile saloon e strade fangose (stile Django di Corbucci, 1966). Non per niente il film è dedicato a Sergio Corbucci. Il tono della narrazione è poetico e altisonante, da melodramma, spesso sembra citare la tragedia greca e persino la passione di Cristo, quando Jonathan viene legato a una croce. Western ecologico, a tratti, soffuso di amore per gli animali, ma anche cinema colto e opera d'autore, cosparsa di tanti rimandi psicologici di vago sapore proustiano. Jonathan degli orsi è anche western per ragazzi, ma intelligenti, perché il protagonista bambino facilita l'immedesimazione; al tempo stesso è cinema della vendetta, una sorta di rape & ravenge in salsa western.
Non può mancare l'amore per la ragazza indiana, un rapporto fatto di sguardi e carezze, privo di parole, che rappresenta un momento di crescita per Jonathan. Un film ricco di scene d'azione, momenti acrobatici ben realizzati e un insolito duello tra buono e cattivo in un luogo chiuso, caratteristica western di Castellari. Buon uso del rallenti (altro tratto d'autore) e della soggettiva, mentre di tanto in tanto fa capolino uno zoom anni Settanta. Un western fuori tempo massimo ma non per questo meno interessante, ben girato, scritto e sceneggiato da Castellari, su un soggetto originale scritto da Lorenzo De Luca, un esperto di cinema che infonde nella storia tutto il suo amore per il genere, e dall’interprete principale Franco Nero.
Il regista racconta l'infanzia del bambino ricorrendo a un meccanismo narrativo caro a Ingmar Bergman, realizzando una sorta de Il posto delle fragole (1957) in salsa western, con il protagonista invecchiato che torna sui luoghi del passato e li osserva da spettatore esterno, rimembrando eventi luttuosi e momenti felici. Jonathan vive per la vendetta, ma è un uomo giusto, consapevole che la pace tra bianchi e indiani sia un sogno impossibile, ma pensa che vada ricercata. Il film è un apologo antirazzista, dalla parte degli indiani e dei neri, mai sdolcinato e romantico, ma spesso crudo e senza speranza (si veda la sequenza della morte dei genitori, ma anche l'uccisione di un bambino indiano).
Le sequenze iniziali composte da ricordi sono fotografate in un bianco e nero anticato, color seppia, per poi tornare al colore quando il bambino seppellisce i genitori al tramonto. Musica country e fotografia poetica sono due valori aggiunti di un film che presenta un montaggio un po' troppo compassato, ma che conferisce un maggior realismo di fondo. Paesaggi russi che si prestano bene, tra corsi d'acqua e steppa, a incarnare l'essenza del vecchio west polveroso e fangoso, lontano mille miglia dal cinema nordamericano e in perfetta sintonia con l'opera di Sergio Leone. Ottimi gli attori.
Franco Nero è fantastico: sguardo glaciale, occhi azzurri, vestito come ai tempi di Keoma (pure lì avevamo un ritorno alle origini e una vendetta), sembra che per lui il tempo non sia passato. Il ruolo da protagonista gli calza a pennello, anche se non tutta la critica è concorde. I cattivi sono straordinari, soprattutto John Saxon, perfido petroliere che vorrebbe sterminare gli indiani ma viene sconfitto da Jonathan, e anche David Hess, pure se sottoutilizzato.
Scenografia curata, dal villaggio indiano ricostruito alla perfezione, a usanze e riti descritti con dovizia di particolari, per finire con il paesino western dotato di immancabile saloon e strade fangose (stile Django di Corbucci, 1966). Non per niente il film è dedicato a Sergio Corbucci. Il tono della narrazione è poetico e altisonante, da melodramma, spesso sembra citare la tragedia greca e persino la passione di Cristo, quando Jonathan viene legato a una croce. Western ecologico, a tratti, soffuso di amore per gli animali, ma anche cinema colto e opera d'autore, cosparsa di tanti rimandi psicologici di vago sapore proustiano. Jonathan degli orsi è anche western per ragazzi, ma intelligenti, perché il protagonista bambino facilita l'immedesimazione; al tempo stesso è cinema della vendetta, una sorta di rape & ravenge in salsa western.
Non può mancare l'amore per la ragazza indiana, un rapporto fatto di sguardi e carezze, privo di parole, che rappresenta un momento di crescita per Jonathan. Un film ricco di scene d'azione, momenti acrobatici ben realizzati e un insolito duello tra buono e cattivo in un luogo chiuso, caratteristica western di Castellari. Buon uso del rallenti (altro tratto d'autore) e della soggettiva, mentre di tanto in tanto fa capolino uno zoom anni Settanta. Un western fuori tempo massimo ma non per questo meno interessante, ben girato, scritto e sceneggiato da Castellari, su un soggetto originale scritto da Lorenzo De Luca, un esperto di cinema che infonde nella storia tutto il suo amore per il genere, e dall’interprete principale Franco Nero.