In memoria di Luigi Magni (1928 - 2013), pubblico questo mio lungo profilo inedito del regista. Solo testo, non è il caso di pubblica immagini.
Luigi Magni, il cantore della Roma papalina
Luigi Magni nasce a Roma nel 1928, è uno sceneggiatore
- regista unanimemente considerato come il cantore appassionato e ironico della
Roma papalina. Il suo interesse per quel periodo storico compare già con prepotenza
nella sceneggiatura de Le voci bianche
(1964) -girato da Pasquale Festa Campanile - e nella messa in scena teatrale di
un’epopea romanesca di taglio popolare come Rugantino
(1966).
Luigi Magni
come sceneggiatore è attivo per tutto il periodo 1959 - 1968, collaborando a
film comici (La cambiale, Il corazziere, Gli attendenti, Il mio amico Benito) e subito dopo a
lavori più impegnati di ambientazione storica (Madamigella di Maupin, La
mandragola, El Greco, La cintura di castità). Tra gli altri
film scritti da Magni ricordiamo: In
Italia si chiama amore, Un tentativo
sentimentale, Non faccio la guerra
faccio l’amore, Le fate, Le bambole, La ragazza con la pistola
e Per grazia ricevuta).
Le
collaborazioni di Magni in veste di soggettista e sceneggiatore prendono il via
dalla collaborazione con Age & Scarpelli e riguardano le opere dei migliori
registi del tempo: Mario Monicelli, Luciano Salce, Mauro Bolognini, Camillo
Mastrociqnue, Giorgio Bianchi, Pasquale Festa Campanile, Carlo Lizzani e Alberto
Lattuada.
Il debutto
cinematografico avviene con Faustina
(1968), un originale apologo popolaresco che cita e omaggia con affetto la
romanità d’un tempo. Interpreti: Vonetta McGee, Renzo Montagnani, Enzo
Cerusico, Franco Acampora, Clara Bindi, Diana Buffardi, Franca Haas e Ottavia
Piccolo. Montagnani è un tombarolo gretto e manesco che vive di espedienti,
mentre la mulatta McGee è la moglie Faustina, che a un certo punto si innamora
di un timido cantante (Cerusico) e vorrebbe scappare con lui, ma non è facile. Il
marito la denuncia per abbandono del tetto coniugale, lei finisce in galera, ma
quando dopo sei mesi esce fuori, attende un figlio. Il marito la riempie di
botte più forte di prima e a questo punto lei se ne va per sempre. La mulatta
Faustina simboleggia il passaggio degli alleati, ricorda come le truppe di
liberazione abbiano avuto rapporti con donne italiane. Magni ci fa conoscere la
romanità delle sue storie con una spruzzata di femminismo e ambienta il
racconto nel Foro romano effettuando le riprese tra le rovine. Una favola
garbata, senza tempo, di taglio pasoliniano,
con una scenografia che ricorda le stampe d’epoca.
Se il primo
film di Magni poteva dirsi interessante e originale, il secondo è già un grande
successo di pubblico e di critica.
Nell’anno del Signore (1969) è un’opera
a metà strada tra il comico e il tragico che racconta le vicissitudini di un
gruppo di carbonari smascherati e uccisi, tutti tranne il Cornacchia (Manfredi),
che continuerà a scrivere filastrocche irriverenti contro il Papa sulla statua
di Marc’Aurelio. A parte Manfredi - grande protagonista - nel cast spiccano
Claudia Cardinale, Robert Hossein, Renaud Verley, Enrico Maria Salerno, Alberto
Sordi, Ugo Tognazzi, Britt Ekland, Pippo Franco e Stefano Oppedisano. Siamo
nella Roma del 1825, sotto Papa Leone XII, epoca di tumulti anticlericali e di
moti carbonari, il nostro protagonista è un modesto ciabattino che si fa
chiamare Cornacchia ma nasconde l’identità dell’irriverente Pasquino. Hossein e
Verley sono due carbonari che vengono aiutati da Cornacchia a scoprire i
traditori e a salvarsi dalla galera. Cornacchia sogna una rivolta popolare contro
il dominio dispotico del Papa Re, ma resta deluso e le sue speranze sono
frustrate. Magni scrive e sceneggia il film, dimostrando grane maturità
artistica sin dal secondo lavoro che utilizza gli strumenti della commedia in
un’ambientazione storica. Non manca la riflessione politica sulle rivoluzioni e
sul popolo che non vuole rischiare la pelle ma pensa soltanto a vivere una vita
tranquilla e immune da problemi. Gli attori sono bravi. Sordi è un frate molto
divertente, Tognazzi un credibile cardinale e Salerno un diligente capitano.
Claudia Cardinale salva il lato erotico che stiamo cercando nella commedia alta
ed è di una radiosa bellezza, forse nel momento migliore della sua vita
artistica.
Scipione detto anche l’Africano (1971) è un film satirico contro l’antica Roma,
interpretato da Marcello Mastroianni, Ruggero Mastroianni, Woody Strode,
Silvana Mangano, Turi Ferro, Adolfo Lastretti, Fosco Giachetti, Enzo Fiermonte,
Philippe Hersent, Wendy D’Olive, Brizio Montinaro e Ben Ekland. Magni scrive e
sceneggia una sorta di parodia che critica l’antica Roma scettica e indolente per
ironizzare sulla società contemporanea. Fa parlare gli antichi romani in
dialetto romanesco, una scelta coraggiosa ma divertente, e gira il film a
Paestum, tra le rovine della Villa Adriana. Marcello Mastroianni è Publio
Cornelio Scipione, detto l’Africano, vincitore delle guerre puniche, accusato da
Catone il Censore di aver intascato illegittimamente un tributo di 500 talenti
dovuti da Antioco, re di Siria. Alla fine si scopre che il colpevole è il
fratello Lucio Cornelio Scipione, detto l’Asiatico (Ruggero Mastroianni), ma
l’Africano si prende la colpa, dopo aver capito che gli ideali e le virtù sono soltanto
vuote parole. Sceglie l’esilio perché si rende conto che gli uomini onesti e
probi non sono ben visti a Roma. La pellicola è molto teatrale, ma gli attori
sono bravi e il pubblico non si annoia. Ruggero Mastroianni - famoso montatore
- è il fratello di Marcello, una tantum
attore per interpretare (in maniera più che credibile) il ruolo del fratello di
Scipione. Turi Ferro è niente meno che Giove. La colonna sonora è di Severino
Gazzelloni. Il film non è tra le cose migliori di Magni, ma non condividiamo
l’ardore con cui Morando Morandini ne sconsiglia la visione (si prende una
querela dalla produzione). “Arguto, verboso, con molti momenti di stanchezza”,
scrive sul noto Dizionario che porta
il suo nome. Ai nostri fini niente di erotico, anche se possiamo parlare di un peplum in salsa di commedia.
La Tosca (1973) è ai nostri fini ancor
meno interessante, perché si tratta della trasposizione cinematografica del
celebre dramma di Sardou in veste musicale, interpretata da Monica Vitti,
Vittorio Gassman, Luigi Proietti, Umberto Orsini, Aldo Fabrizi, Ninetto Davoli,
Alvaro Vitali, Fiorenzo Fiorentini, Gianni Bonagura e Marisa Fabbri. Il film è
originale perché La Tosca viene
trattata in veste ironica e romanesca, una maniera insolita di concepire
un’opera e di portarla a un pubblico meno preparato. Magni si occupa di tutto,
dalla sceneggiatura ai dialoghi, passando per i cori e le canzoni, trasformando
il dramma di Flora Tosca in un’opera buffa di taglio romanesco. Non è una
parodia, ma una commedia musicale che mette in primo piano ciò che Sardou e
Puccini utilizzano come sfondo, ma il risultato finale non ha niente a che
vedere con l’opera classica. La critica politica all’Italia contemporanea è più
che evidente e la vena da commedia leggera scorre felice. Il regista punta
sull’umorismo e fa a meno della retorica, inserendo il solito spirito
anticlericale e battute polemiche sula rivoluzione. Il mix tra commedia
brillante e melodramma finale è ben riuscito. Armando Trovajoli cura una
splendida colonna sonora.
La via dei babbuini (1974) è un lavoro atipico per Luigi Magni che punta
sul filosofico e realizza una commedia di ambientazione africana ricca di
bozzetti e di stupende scenografie, ma poco efficace. Ai nostri fini ci sono
timidi accenni di commedia erotica vista la presenza di un’affascinante
Catherine Spaak, poco espressiva e spesso
in difficoltà con il personaggio, e di un comico Pippo Franco, alle prese con la
caratterizzazione di un uomo bianco nato in mezzo ai coccodrilli. Lionel
Stander è il più bravo di tutti nei panni (ormai consueti) del vecchio padre
morente, un fascista nostalgico che ha mollato la famiglia ed è andato a vivere
in Etiopia, ma esce presto di scena. Uno dei momenti migliori del film è
l’incontro padre - figlia che si rivedono dopo una lunga separazione e sembrano
due estranei. Lui finisce per morire nella sua Africa, senza nessuna nostalgia
di Roma e della vecchia Europa. Gli altri interpreti sono Fabio Garriba e Gabriele
Grimaldi, ma la loro partecipazione è piuttosto monocorde. Soggetto e
sceneggiatura sono del regista che racconta la storia di una signora romana (Spaak)
che va in Africa per assistere il padre morente e decide di abbandonare il
marito per seguire nella savana la via dei babbuini. Pippo Franco è il
singolare individuo che Catherine Spaak incontra sul suo cammino, un italiano figlio
di immigrati, nato in Etiopia in mezzo ai coccodrilli, che vive di sogni e
ricordi del passato. Un ruolo insolito per l’attore comico romano, atipico e
piuttosto serioso, a metà strada tra il comico e il surreale. In ogni caso la
parte comica è tutta sulle sue spalle, anche perché il marito della Spaak è un
personaggio grottesco e irreale, così pieno di difetti da sembrare un fumetto.
Pippo Franco che filosofeggia, però, non è il massimo: “Il babbuino è simile
all’uomo, ma non vuole diventare uomo. Per questo ogni sera al tramonto torna
nella foresta per restare scimmia, seguendo la
via dei babbuini”. Pippo Franco si vede sconvolgere l’ordinaria follia della
sua vita quotidiana a contatto con i coccodrilli da una coppia in fuga dal
mondo moderno. Il nuovo compagno muore divorato da un coccodrillo, ma lei
decide lo stesso di restare in Africa perché il rapporto con il marito - che cerca
di riportarla a casa senza successo - è ormai finito. La Spaak era andata in
Africa per nostalgia del padre moribondo, ma forse voleva soltanto fuggire da
un marito noioso e pedante. Il mal d’Africa ha fatto il resto. Gli effetti
speciali sono di Carlo Rambaldi, la stupenda fotografia africana è di Di
Giacomo, il montaggio serrato di Ruggero Mastroianni. Musica suggestiva di
Armando Trovajoli. Il film avrebbe ambizioni ecologiche e consiglia la ricetta
contro l’alienazione dell’uomo contemporaneo: la fuga e il ritorno alla natura
selvaggia. Un apologo esotico che non funziona, anche perché la Spaak e Franco
non sono due attori in sintonia. Resta un buon lavoro stilisticamente parlando,
suoni e rumori della notte africana sono valorizzati al massico, le suggestive
scenografie lasciano senza fiato. Sembra d’essere in un mondo movie romantico e nostalgico, tra grandi alberi, coccodrilli,
ippopotami e bozzetti di vita nella savana. I momenti erotici sono pochi, a
parte la bellezza di Catherine Spaak - che con il passare del tempo diventa
sempre più castigata - e un fugace incontro tra il marito e una prostituta
nera.
Signore e signori buonanotte (1976) è una commedia a episodi firmata da Luigi
Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli ed Ettore Scola. Gli
sceneggiatori sono un manipolo: Age (Agenore Incrocci), Furio Scarpelli, Leo
Benvenuti, Piero De Bernardi, Ruggero Maccari e Ugo Pirro. Il film è
strutturato in 14 episodi ed è prodotto in cooperativa da registi e
sceneggiatori. Il tema di fondo è la critica alla televisione, i registi
realizzano un’efficace parodia di una giornata televisiva a base di
sceneggiati, telegiornali, pubblicità e inchieste. Scola dirige l’episodio - cornice,
interpretato da Marcello Mastroianni e Monica Guerritore, basato su un
giornalista televisivo che intervista un uomo politico corrotto, assiste a un
vertice di camorristi che si stanno spartendo Napoli e si intrattiene
piacevolmente con una collega. Mastroianni è un giornalista - speaker molto
distratto di un inesistente (al tempo) TG3, perché la terza rete ancora non ha
visto la luce. La sua presenza fa da filo conduttore, perché i vari episodi del
film sono presentati come inchieste, servizi speciali, intrattenimenti e inserti
del suo telegiornale. Scola dirige anche Il
salone delle cariatidi ed è sua
l’idea del sosia di Giovanni Leone - Presidente della Repubblica - mentre balla
la tarantella. Luigi Comencini dirige Lezione
d’inglese, con Vittorio Gasmann e Lucretia Love (Anna Morganti), dove un
agente della Cia prepara un attentato, ma anche L’ispettore Tuttumpezzo
con Vittorio Gassman, Adolfo Celi e Senta Berger, per raccontare la storia di
un poliziotto che diventa cameriere di un potente corrotto. Mangiamo i bambini, con Paolo Villaggio
e Gabriella Farinon, è l’ultimo episodio di Comencini, basato sull’affermazione
di Jonathan Swift secondo la quale si dovevano mangiare i bambini poveri in
eccedenza. Nanni Loy dirige Sinite
parvulos, con Andrea Bosic, un ragazzino napoletano che si suicida dopo che
un cardinale ha premiato le famiglie con molti figli, e Il personaggio del giorno - Poco per vivere troppo per morire, con
Ugo Tognazzi e Franco Diogene, dove vediamo un pensionato milanese campare di
espedienti. Luigi Magni resta nella sua tematica preferita, anticlericale e
dedicata alla Roma papalina con Il santo
soglio (Nino Manfredi, Mario Scaccia,
Andrea Ferréol, Felice Andreasi e Luigi Basagaluppi), dove un cardinale si
finge moribondo per essere eletto Papa. Mario Monicelli dirige La bomba (Carlo Croccolo, Eros Pagni,
Sergio Graziani, Camillo Milli e Gianfranco Barra), come satira
all’inettitudine della polizia che fa esplodere un ordigno dopo un falso
allarme per non fare una figuraccia, e Il
generale in ritirata (Ugo Tognazzi),
che vede un militare suicida perché le medaglie sono cadute nella tazza del
water. Non è dato sapere chi abbia girato Il
disgraziometro (Comencini?), interpretato ancora da Paolo Villaggio, sul
gioco a premi dove vince il più sfortunato. Si tratta di una commedia satirica,
a sfondo politico, ma invece che cattiva e pungente come avrebbe dovuto essere,
pare blanda e annacquata. Vizi e virtù di un’Italia allo sfascio vengono messi
alla berlina. Scarso il successo di pubblico, anche se gli attori sono di primo
piano e i registi quanto di meglio in circolazione. Musiche di Lucio Dalla, Antonello
Venditti, Francesco Guccini, Giuseppe Mazzucca e Nicola Samale. Erotismo poco o
niente, a parte qualche ammiccamento da parte di Monica Guerritore
(presentatrice - amante di Mastroianni), Lucretia Love e Senta Berger.
Basta che non si sappia in giro (1976) cavalca
la moda delle commedie a episodi girate da più registi, in questo caso la
collaborazione è tra Nanni Loy, Luigi Magni e Luigi Comencini. Macchina d’amore di Nanni Loy (Monica
Vitti e Johnny Dorelli) racconta le vicissitudini erotiche di una dattilografa
che batte a macchina il copione di un film porno, ma scambia realtà e fantasia.
Il superiore di Luigi Magni (Nino Manfredi, Lino Banfi e Isa Danieli)
racconta una rivolta carceraria per protestare contro la mancanza di donne
durante la quale un secondino rischia di essere sodomizzato. L’equivoco di Luigi Comencini (Nino
Manfredi e Monica Vitti) è incentrato sullo scambio di persona tra una
venditrice di libri e una prostituta. Luigi Magni scrive e sceneggia il suo
episodio, atipico come tematica. Il primo è scritto da Age e Scarpelli, il
terzo da Castellano e Pipolo. Una commedia innocua, scritta e girata con poca
fantasia, basata su situazioni erotiche sempre poco esplicite e con attrici
reticenti a recitare senza veli.
Quelle strane occasioni (1976) vede ancora una collaborazione tra Nani Loy,
Luigi Mani e Luigi Comencini per una commedia a episodi di livello medio. Italian Superman di Nanni Loy - che non
firma la pellicola - (Paolo Villaggio, Valeria Moriconi e Lars Bloch) è il più
volgare come tematica e racconta le vicende di un venditore di castagnaccio che
diventa ricco facendo l’amore in pubblico nei night di Amsterdam. Il problema è
che la moglie lo blocca, lui non vuol saperne di restare fedele e di fare
l’amore con una sola donna. Il cavalluccio svedese di Luigi Magni (Nino
Manfredi, Olga Karlatos, Giovanna Steffan, Giovannella Grifeo) è commedia
erotica pura e racconta di un architetto che va a letto con una bella svedese,
figlia di un amico, ma il problema è che l’amico è stato amante della
moglie. L’ascensore di Luigi Comencini (Alberto Sordi, Stefania Sandrelli e
Beba Loncar) è l’episodio più erotico e ricco di scene sensuali, merito di una
strepitosa Stefania Sandrelli che seduce un monsignore (Sordi) in un ascensore
bloccato per un’intera giornata. Il monsignore approfitta della ragazza e alla
fine si comporta come se non fosse accaduto niente. Gli sceneggiatori sono Leo
Benvenuti e Piero De Bernardi, che collaborano con Rodolfo Sonego per Il cavalluccio svedese e L’ascensore. Molti
gli elementi di commedia sexy, soprattutto nel terzo episodio girato da
Comencini.
In nome del Papa Re (1977) rappresenta
la continuazione ideale di Nell’anno del
Signore ed è l’opera più matura e riuscita di Luigi Magni, che racconta la
ferocia degli ultimi anni di potere temporale dei papi attraverso la figura
ironica di Don Colombo (un Manfredi in gran forma), consapevole che la fine è
prossima, ma incapace di fare scelte rivoluzionarie. Interpreti: Nino Manfredi,
Danilo Mattei, Carmen Scarpitta, Giovannella Grifeo, Carlo Bagno, Salvo
Randone, Ettore Manni, Camillo Milli, Rosalino Cellamare (il popolare cantante
Ron) e Luigi Basagaluppi. Ai nostri fini non c’è niente di erotico, mancano persino
presenze femminili interessanti, ma resta una notevole critica anticlericale e
la rievocazione dell’ultima condanna a morte decretata dal Papa. La pellicola
si regge tutta sulla grande interpretazione di Nino Manfredi, attore feticcio
di Luigi Magni. David di Donatello per la sceneggiatura.
Arrivano i bersaglieri (1980)
approfondisce la tematica anticlericale di Luigi Magni, che racconta il passato
ma guarda al presente. Il film è interpretato da Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli,
Vittorio Mezzogiorno, Pippo Franco, Giovannella Grifeo, Ombretta Colli, Mariano
Rigillo, Enrico Papa, Carlo Bagno, Daniele Dublino, Ricky Tognazzi e Moira
Orfei. Il periodo storico preso in esame è successivo alla breccia di Porta
Pia, quando la nobiltà papalina e il clero cercano di riciclarsi nella nuova
Italia unita. Bella commedia storica con personaggi indovinati, come il prete
trasformista interpretato da Pipo Franco e il patrizio tradizionalista Ugo
Tognazzi, ma pure lo zuavo Mezzogiorno che si è arruolato con i bersaglieri.
Ottimo il cast femminile che assicura un minimo sindacale di erotismo alla
commedia: Giovanna Ralli, Ombretta Colli e Moira Orfei.
Un’avventura a Campo de’ Fiori (1982) è un singolare prodotto televisivo che Luigi
Magni gira per il ciclo Dieci registi
italiani, dieci racconti italiani,
trasmesso da Rai 3. Il film di Magni va in onda il 14 maggio 1983, sabato alle
20 e 30, tratto dal racconto surreale di Giorgio Vigolo, sceneggiato dal
regista con la collaborazione di Luigi Spagnol. Interpreti: William Berger,
Geneviève Omini, Rina Franchetti, Fabio Garriba, Anna Lelio, Remo Remotti. Un
uomo manca da Roma da molto tempo, ma quando ci torna per ritrovare un amico,
al suo posto incontra un fantasma. Insolito ma da vedere.
State buoni se potete (1983) è la
storia romanzata di San Filippo Neri, interpretato da Johnny Dorelli, il
condensato di una serie televisiva in tre puntate. Il film celebra il fondatore
dell’oratorio, il santo che si prende cura della gioventù, e un anticlericale
come Magni non sembra il regista più adatto, mentre le musiche di Angelo
Branduardi sono perfette. La versione televisiva dura 149’ ed è quella che circola
in dvd. Fuori argomento per quel che riguarda la nostra tematica. L’addio a Enrico Berlinguer (1984) è un
documentario girato a più mani, dedicato alla figura di un grande uomo
politico, segretario del Partito Comunista Italiano, scomparso per un arresto
cardiaco durante un comizio. Citiamo per completezza Il generale (1986), Garibaldi
il generale (1987) - miniserie a puntate - e Cinema! (1988), esperienze televisive che esulano dalla nostra
trattazione, così come il documentario Imago
Urbis (1987).
Secondo Ponzio Pilato (1987) vede Luigi
Magni alle prese con una tematica storica insolita, ma in compagnia del fido
Nino Manfredi, che interpreta da par suo un ruolo complesso. Il cast comprende
Stefania Sandrelli, Lando Buzzanca, Mario Scaccia, Flavio Bucci, Luisa De
Santis, Roberto Herlitzka e Antonio Pierfederici. Il film è a metà strada tra
realtà e fantasia, perché Ponzio Pilato dopo aver condannato a morte Gesù viene
colto da dubbi e si convince di aver commesso un delitto. Alla fine - da buon
eroe tragico della commedia all’italiana - chiederà all’imperatore Tiberio di
essere decapitato. Nino Manfredi, ormai sodale di Luigi Magni, rende ciociaro
Ponzio Pilato e ne fa un personaggio interessante, roso dai dubbi e dal
rimorso. Stefania Sandrelli assicura l’indispensabile elemento erotico.
O’ re (1988) è un altro film storico -
genere nel quale Magni è ormai specialista - interpretato da Giancarlo
Giannini, Ornella Muti, Carlo Croccolo, Corrado Pani, Luc Merenda, Cristina
Marsillach e Annamaria Ackermann. La pellicola racconta la vita privata
dell’indolente Francesco di Borbone (re Franceschiello) e della moglie Maria Sofia,
interpretati da Giancarlo Giannini e Ornella Muti. I sovrani si trovano a Roma
in esilio dopo che Garibaldi li ha scacciati dal Regno delle Due Sicilie. La
pellicola nasce per il piccolo schermo, la versione cinematografica è tagliata,
ma conserva gli stessi ritmi e inoltre i due attori principali non sono ben
assortiti. Ornella Muti è fuori ruolo, anche se conferisce al film un minimo di
sensualità. Commedia all’italiana, ironica e scanzonata, ma con riferimenti
storici ben precisi.
In nome del popolo sovrano (1990) è un
nuovo atto dell’epica anticlericale e antipapista di Luigi Magni, che mette in
scena il prete Ugo Bassi schierato contro il Papa e il solito Manfredi nei
panni del Pasquino di turno. Interpreti: Alberto Sordi, Nino Manfredi, Jacques
Perrin, Elena Sofia Ricci, Carlo Croccolo, Luca Barbareschi, Massimo Wertmüller
e Serena Grandi. Siamo ai tempi della Repubblica Romana (1848) e il regista
racconta l’amore della moglie di Eufemio Arquati (Sordi) per un garibaldino. Il
marito la riconquisterà solo dopo essersi unito ai repubblicani. Bravissimo Manfredi
nei panni di Angelo Brunetti detto Ciceruacchio. Elena Sofia Ricci e Serena
Grandi sono le uniche divagazioni sexy su una tematica storica che volge a
commedia. Meno ispirato e originale de In
nome del Papa Re e spesso ripetitivo nelle caratterizzazioni, ma resta un
buon film.
Nemici d’infanzia (1995) nasce come
romanzo scritto da Luigi Magni, quindi sceneggiato per il cinema da Carla
Vistarini e vincitore di un David di Donatello. Non è un lavoro memorabile,
nonostante il premio. Interpreti: Paolo Murano, Renato Carpentieri, Giorgia
Tartaglia, Nicola Russo, Elena Berera, Elodie Trecani, Gregorio Gandolfo e
Luigi Diliberti. Siamo nella Roma del 1944, il dodicenne Paolo si divide tra
l’amicizia per la coetanea Luciana e l’ammirazione per l’invalido Corsini. A un
certo punto scopre che quest’ultimo è un torturatore fascista che deve uccidere
il padre di Luciana. La pellicola soffre un’evidente mancanza di mezzi ed è
molto ideologica, oltre a essere recitata in maniera scolastica. Troppo
retorico.
Esercizi di stile (1996) è un film a
episodi girato da un plotone di registi: Francesco Laudadio, Luigi Magni,
Lorenzo Mieli, Pino Quartullo, Alessandro Piva, Falero Rosati, Maurizio
Dell’Orso, Dino Risi, Alex Infascelli, Sergio Citti, Volfango De Biasi, Cinzia
Th Torrini, Claudio Fragasso e Mario Monicelli. Gli interpreti sono Elena Sofia
Ricci, Massimo Wertmüller, Franco Diogene, Gloria Paul e Sal Borgese. Luigi
Magni gira soltanto Era il maggio radioso,
un divertente episodio pere raccontare la vicenda tragicomica di un reduce
della Prima Guerra Mondiale che al ritorno trova la moglie monaca di un
convento, perché non sperava più di rivederlo. L’idea di fondo è quella di
portare al cinema gli Esercizi di stile
di Raymond Queneau in quattordici episodi, che poi sarebbero quattordici modi
diversi di dirsi addio in quattordici generi cinematografici diversi, dalla
commedia al giallo, passando per horror, erotico, poliziesco e western. Il film
delude per mancanza di stile e per approssimazione registica, anche se la breve
commedia di Magni non è da disprezzare.
La carbonara (2000) è l’ultima
incursione di Magni nella Roma papalina del 1825, meno riuscita delle
precedenti ma pur sempre una discreta commedia storica. Interpreti: Lucrezia
Lante della Rovere, Valerio Mastandrea, Fabrizio Gifuni, Claudio Amendola, Nino
Manfredi, Alberto Alemanno, Pierfrancesco Favino, Andrea Garinei e Marina
Lorenzi. Siamo nel 1825: Cecilia (Lante della Rovere) ritrova nello stesso
giorno il primo amore (Gifuni), condannato a morte dal Papa per carboneria, e
il marito (Mastandrea), che non era stato ucciso dai banditi ma si era fatto
frate. Nino Manfredi è un bravissimo cardinale romano, disilluso e scettico,
che interviene per aiutare la donna nei problemi sentimentali. Ci mette lo
zampino anche un miracolo divino e al tempo stesso si cercano di risolvere i molti
guai politici. Magni scrive e dirige un film nelle sue corde, ma il soggetto è
fiacco, ricicla molti temi in passato affrontati con maggior freschezza e cerca
di attualizzarli. La bella Lucrezia Lante della Rovere fa la locandiera ed è carbonara nel senso degli spaghetti,
perché la sua trattoria si chiama con il nome del noto piatto romano. “A Roma
tutti si fanno comprare”, insiste Magni come leitmotiv della pellicola e il collegamento con la corruzione
contemporanea pare evidente.
Luigi Magni
conclude la sua carriera con il televisivo La
notte di Pasquino (2003) che ripercorre la vecchia tematica storica e può
considerarsi un addio alla macchina da presa, perché dopo la morte di Nino
Manfredi (2004), il suo attore prediletto, non vuole più girare film. Luigi
Magni è un regista che dimostra la grandezza del nostro cinema popolare. Resta
il cantore del periodo risorgimentale. da un punto di vista anticlericale,
capace di raccontare la storia romanzando eventi e creando personaggi
memorabili. Il tono del suo cinema è comico, spesso da farsa, in ogni caso nei
limiti della commedia all’italiana, che a tratti presenta aspetti erotici, mai
predominanti. Magni usa l’anticlericalismo per compiere un discorso sul potere,
per criticare ogni dittatura o regime assoluto che sfrutta l’ignoranza della
gente per dominare i propri simili. Roberto Poppi scrive sul Dizionario dei Registi Italiani: “Acuto
osservatore del costume e della politica italiana ottocentesca vista attraverso
i non facili rapporti tra i sostenitori del liberalismo e il potere
ecclesiastico, schierandosi a favore dei primi e criticando con grande veemenza
anticlericale i secondi”. Magni di solito gira film ambientati in un’altra
epoca, ma cerca sempre di attualizzare il messaggio politico e di renderlo
contemporaneo. Si ricorda il suo cinema anche per le perfette ricostruzioni
della Roma papalina, effettuate a Cinecittà e in alcuni casi tra le antiche
rovine di molte città italiane (Pompei, Paestum…). Nel 2008 riceve il David di
Donatello alla carriera per celebrare i suoi ottant’anni di attività come
regista. Muore il 27 ottobre 2013.
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi