Giuliano Gemma (1938 - 2013) rappresenta buona parte
della mia infanzia. La prima volta che l’ho visto al cinema - in una saletta di
terza visione nel quartiere operaio della mia città - vestiva i pani di Ringo e
si faceva chiamare Montgomery Wood. Credevo che fosse americano, pure mio padre
lo pensava, lui che disprezzava il western italiano, ma era andato in delirio
per tutte le pellicole di Sergio Leone, convinto che fossero interpretate da
attori d’oltreoceano. Magia degli pseudonimi, ma pure magia del ricordo d’un
bambino che stringeva un pacchetto di semi, varcava le porte del Cinema Teatro
Sempione (scomparso nella nebbia del tempo perduto) per andare a vedere un peplum, al tempo che manco sapeva cosa
volesse dire peplum, come Arrivano i Titani. Da grande quel
bambino avrebbe scoperto che sia i due Ringo (Una pistola per Ringo, Il ritorno di Ringo) che il peplum erano
opera di Duccio Tessari, un regista italiano che avrebbe usato spesso Giuliano
Gemma (Kiss kiss… bang bang, Vivi o preferibilmente morti, Tex e il
signore degli abissi), considerandolo un suo attore feticcio.
Abbiamo
trovato un ricordo di Giuliano Gemma che fa riferimento a quel periodo storico:
“Il primo film che ho fatto con Tessari è Arrivano
i Titani, un lavoro che smitizza il peplum dove recito con il mio vero
nome. Il primo western che ho interpretato è Una pistola per Ringo (1965), film in cui nasce il mio pseudonimo,
Montgomery Wood. Si trattava di una condicio
sine qua non per fare il film,
imposta dalla produzione che voleva venderlo come nordamericano. Era una moda.
Mi obbligarono e lo pseudonimo lo scelse il produttore.
A me andava bene tutto.
Sono riuscito a usare il mio vero nome solo a partire dal terzo western come
protagonista. Ho fatto due western della serie Ringo, entrambi con Tessari,
tutti e due buoni lavori, ma fondamentalmente diversi l’uno dall’altro. Una pistola per Ringo è un film ironico,
nelle corde di Tessari, girato con il suo inconfondibile stile. Il ritorno di Ringo è un film
drammatico, ispirato all’Odissea. Il
primo è più divertente, il secondo più serio. Sono due film coprodotti con gli
spagnoli, girati nella penisola iberica, interpretati da Fernando Sancho,
persona simpatica e grande mangiatore, che poi ho ritrovato in Arizona Colt (Michele Lupo, 1966, nda).
Nel cast ricordo anche George
Martin, un ginnasta spagnolo molto atletico con cui spesso mi allenavo. E che
dire di Pajarito? Un personaggio inventato da Tessari, uno spagnolo che parlava
in modo buffo e si occupava di produzione. Tessari lo utilizzò come attore
dandogli il soprannome che aveva nella realtà. Una pistola per Ringo è un film ironico che anticipa il western
comico di Barboni, alternativo al cinema di Leone, ma non meno violento,
nonostante l’ironia. Nella mia carriera non ho mai interpretato personaggi
cliché, né stereotipi. Pure nei due film della serie Ringo differenzio i
personaggi. Nel primo sono un pistolero ironico e strafottente.
Nel secondo
sono un eroe cupo e represso che torna a casa dopo una lunga guerra, una sorta
di Ulisse - Ringo. Vivi o preferibilmente
morti è un altro western diretto da Tessari, sceneggiato niente meno che da
Ennio Flaiano, nato dalla mia amicizia con Nino Benvenuti sin dai tempi del
militare. Si sperava che andasse meglio, che la coppia Gemma - Benvenuti
portasse più gente al cinema, che il debutto di Sidney Rome incuriosisse il
pubblico. L’incasso non fu male, comunque, ma la critica distrusse il film. Ma
il vero insuccesso tra i lavori di
Tessari da me interpretati fu Tex e il
signore degli abissi (1985), una pellicola che non era western all’italiana
e che non funzionò per niente. Credo che sia il peggior western di Tessari,
nonostante ci fosse William Berger, un ottimo attore.
La storia era sbagliata,
servivano troppi soldi per realizzarla, ma noi disponevamo di un budget
irrisorio. La produzione non aveva la possibilità di costruire un accampamento
indiano di venti tende (ce n’erano soltanto tre) e neppure di affittare
cinquanta cavalli (erano dieci). La storia di Tex venne scelta male perché
troppo complessa e costosa da realizzare al cinema. Conoscevo bene i fumetti di
Tex, un eroe della mia infanzia, ed ero orgoglioso di prestare il volto al
ranger mezzo sangue. Ma avremmo dovuto sceneggiare una storia low-budget, stile spaghetti-western, non
un soggetto ambizioso che finì per restare irrisolto. Persino Gianni Ferrio
compose una musica anonima, in piena sintonia con il film. L’insuccesso fu così
clamoroso che bloccò l’idea di girare una serie di ventuno film televisivi con
protagonista Tex. Una pistola per Ringo
resta il mio film preferito, comunque. Forse perché il primo western non si
scorda mai…”.
Abbiamo fatto ricordare al protagonista parte della sua carriera
western, che è proseguita con Tonino Valerii e Giorgio Ferroni, ma Giuliano
Gemma non è stato soltanto l’eroe buono, il castigamatti, il pistolero della
mia generazione. Ha interpretato un intenso ruolo da protagonista ne Il deserto dei Tartari (1976) di
Valerio Zurlini e Il prefetto di ferro
(1977) di Pasquale Squitieri. E che dire dei ruoli comici ne Anche gli angeli mangiano fagioli (1973) di Barboni e Il bianco, il giallo, il nero (1974) di Sergio Corbucci?
Impossibile citare tutto il suo grande lavoro nel cinema italiano, ma se vi interessa
approfondire consigliamo la lettura di Roberto Poppi, che ha scritto un
imperdibile libro sugli attori italiani, edito da Gremese. A noi piace
ricordare Giuliano Gemma mentre cavalca nelle improbabili praterie dello
spaghetti western, perché - come ha detto lui - il primo western non si scorda
mai.
Gordiano
Lupi
www.infol.it/lupi
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