Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto: Testo del
Vangelo Edizione Pro Civitate Christiana Assisi. Sceneggiatura. Pier Paolo
Pasolini. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Nino Baragli. Aiuto Regista:
Maurizio Lucidi. Assistente alla Regia: Paolo Schneider. Operatore alla
Macchina: Giuseppe Ruzzolini. Aiuto Operatore: Gianni Canfarelli Modica.
Assistente Operatore: Victor Hugo Contino. Fotografo: Angelo Novi. Fonico:
Mario Del Pezzo. Costumi: Danilo Donati. Architetto Scenografo: Danilo
Scaccianoce. Aiuto Architetto: Dante Ferretti. Truccatore: Marcello Ceccarini. Direttore
di Produzione: Eliseo Boschi. Produttore: Alfredo Bini. Ispettore di
Produzione: Enzo Ocone. Organizzatore Generale: Manolo Bolognini. Case di
Produzione: Arco Film (Roma), Lux Cie Cinematographique de France (Parigi).
Distribuzione. Titanus. Negativi e Positivi/ Effetti Ottici: Spes (Dir. E.
Catalucci). Pellicola: Ferrania P. 30. teatri di Posa. Incir/ De Paolis.
Registrazione Sonora: Nevada. Doppiaggio: C.D.C. Mixage. Fausto Ancillai. Musiche:
Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart, Sergej Prokofiev, Anton Webern.
Musiche Originali: Luis Enriquez Bacalov. Edizioni Musicali RCA Italiana. Voce
di Cristo: Enrico Maria Salerno.
Interpreti: Enrique Irazoqui (Cristo),
Margherita Caruso (Maria giovane), Susanna pasolini (Maria adulta), Marcello
Morante (Giuseppe), Mario Socrate (Giovanni Battista), Settimio Di Porto
(Pietro), Alfonso Gatto (Andrea), Luigi Barbini (Giacomo), Giacomo Morante
(Giovanni), Giorgio Agamben (Filippo), Guido Cerretani (Bartolomeo), Rosario
Migale (Tommaso), Ferruccio Nuzzo (Matteo), Marcello Galdini (Giacomo, figlio
di Alfeo), Elio Spaziani (Taddeo), Enzo Siciliano (Simone), Otello Sestili
(Giuda), Rodolfo Wilcock (Caifa), Alessandro Clerici (Ponzio Pilato), Amerigo
Bevilacqua (Erode I), Francesco Leonetti (Erode II), Franca Cupane (Erodiade),
Paola Tedesco (Salomè), Rossana Di Rocco (Angelo del Signore), Renato Terra
(indemoniato), Eliseo Boschi (Giuseppe D’Arimatea), Natalia Ginzburg (Maria di
Betania), Ninetto Davoli. Premi: Premio Speciale della Giuria XXV Mostra
Internazionale di Venezia; Premio Office Catholique International du Cinema;
Premio Cineforum; Premio Città di Imola; Premio Unione Internazionale della
Critica.
Il Vangelo
secondo Matteo è il quarto film di
Pier Paolo Pasolini, quello che conclude il primo ciclo della sua filmografia,
la ricerca dei modelli e di uno stile, compiuta da un fantastico dilettante,
per aprire il periodo del cosiddetto cinema
d’élite. Un film come sempre prodotto da Alfredo Bini, che aveva creduto in
Pasolini sin dai tempi di Accattone,
quando Fellini lo respinse e altri dissero che il suo cinema era troppo
sgrammaticato - intriso di immagini fisse e silenzi - per poter ritagliarsi un
posto nella produzione italiana. Il
Vangelo secondo Matteo racconta con fedeltà al testo sacro la parabola di Cristo,
dall’Annunciazione alla Resurrezione, utilizzando primi piani, sguardi,
silenzi, panoramiche e intere parti del Vangelo, senza aggiungere elementi
iconografici o romanzati. Pasolini si immedesima nella figura di Cristo al
punto di far impersonare Maria in età adulta dalla madre Susanna, affida il
ruolo principale a uno studente catalano (Irazoqui), venuto a Roma per conoscerlo,
dopo aver scritto un saggio su Ragazzi di
vita. Pasolini avrebbe voluto il poeta Evtusenko, in alternativa Kerouac o
Ginsberg, in quel ruolo, ma non fu possibile, perciò ripiegò su un dilettante
che aveva un volto simile ai Cristi dipinti da El Greco.
Voce del Cristo di uno
straordinario Enrico Maria Salerno, che doppia da grande attore di prosa le
espressioni intense di Irazoqui, recitando brani evangelici. La pittura entra ancora
con prepotenza nel cinema di Pasolini, che non ha frequentato il Centro
Sperimentale e vede il cinema più da un punto di vista poetico - pittorico che
cinematografico. Lo spettatore noterà che i fondali del Vangelo - sapientemente
ambientato tra i Sassi di Matera, nelle Puglie e in altre zone depresse del
meridione d’Italia - ricordano i quadri di Piero della Francesca. Il Cristo di
Pasolini non è stalinista - come ha scritto qualche critico poco accorto - ma è
intriso di profonda religiosità e senso del sacro, un Cristo rivoluzionario
perché nella Palestina del tempo portare un messaggio non violento era di per
sé rivoluzionario. Il Cristo di Pasolini divinizza l’uomo come figlio di Dio,
segue l’idea del culto della personalità, contesta il potere (i cappelli da
nazista, i copricapo giganteschi, l’ottusità), aborrisce la violenza, chiede la
purezza di cuore tipica dei bambini. Il film è girato con una tecnica che il
regista definì magmatica: primi
piani, campi lunghissimi, carrello a mano e uso caotico delle musiche (Bach,
Mozart, canti popolari russi, messa congolese). Gli attori sono rigorosamente
non professionisti; Pasolini si trovava male con i veri attori che inserivano
altro dalla sua poetica nel film, anche se in diverse occasioni ha fatto
ricorso a grandi interpreti come Silvana Mangano, Anna Magnani, Maria Callas, Totò
(reinventandolo).
Nel Vangelo servono dilettanti, amici scrittori come Alfonso
Gatto, Giorgio Agamben, Francesco Leonetti, Natalia Ginzburg ed Enzo Siciliano,
immortalati in silenzi e sguardi, con una poetica che ricorda Ejzenstejn, vera
fonte d’ispirazione per Pasolini. Debutto di Paola Tedesco, nei panni di
Salomé, appena dodicenne, quasi irriconoscibile. Ninetto Davoli si intravede in
una breve sequenza. Il silenzio è il tratto stilistico del film, oltre a
un’intensa fotografia in bianco e nero curata da Tonino Delli Colli, prodigio
tecnico - pittorico difficilmente eguagliabile. La critica marxista non
comprese la portata rivoluzionaria del Cristo pasoliniano, ma neppure i
cattolici più oltranzisti che avevano già dato battaglia per La ricotta, trascinando il poeta in una
causa per vilipendio della religione di
Stato.
Un successo di pubblico, comunque, e una soddisfazione per Pasolini
che si vide tributare dai cattolici più aperti il premio dell’Officio Cattolico
Internazionale del Cinema. Premio della Giuria a Venezia, nonostante gli sputi
e i fischi dei fascisti che osteggiavano Pasolini per la sua dichiarata
omosessualità. Dedicato alla memoria del Papa
buono, Giovanni XXIII. Un piccolo capolavoro da rivedere nel tempo.
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