di Ciro
Ippolito
Regia, Soggetto, Produzione: Ciro Ippolito.
Sceneggiatura: Ciro Ippolito, Daniele Pace, Silvano Ambrogi. Fotografia:
Giuseppe Berardini. Montaggio: Carlo Broglio. Mixage: Romano Checcacci.
Costumi: Valeria Valenza. Architetto: Ricardo Buzzanca. Suono Presa Diretta.
Primiano Muratori. Aiuto Regista/ Organizzazione Generale: Gianfranco
Pasquetto. Ispettore Di Produzione: Mario Olivieri. Trucco: Mario Di Salvo.
Operatore alla Macchina: Fabio Conversi. Assistente Operatore: Sandro Grossi.
Fotografo di Scena: Roberto Calabrò. Animazioni: Alberto Della Vedova. Esterni:
Campagne laziali, Arena di Verona (finale). Distribuzione: Lux International.
Musiche: Totò Savio. Edizioni Musicali: C.G.D.. Teatri di Posa: Incir/ De
Paolis. Durata: 98’. Genere: Commedia Demenziale, Musicale. Interpreti:
Squallor, Urs Althaus, Tinì Cansino, Armando Marra, Benedetto Casillo, Renato
Rutigliano, Maurizio Governa, Luigi Morra, Mario Olivieri, Diego Cappuccio,
Marta Bifano, Gregorio Gandolfo, Roberta Fregonese, Clara Bindi, Fiore De’
Rienzo, Guendalina Giovannucci, Laura Lasorella, Max Turilli, Domenico La
Macchia, Prudencia Molero, Giuseppe Antonucci, Ciro Ippolito. Voce Narrante:
Alferedo Cerruti.
Arrapaho (1984) di
Ciro Ippolito è un film basato sulle canzoni degli Squallor (Daniele Pace, Totò
Savio, Alfredo Cerruti e Giancarlo Bigazzi) ambientato in un villaggio di
indiani da avanspettacolo. Morandini definisce il film come “la pellicola più
brutta della storia del cinema” e non ha tutti i torti, ma dimentica che un
simile lavoro non può essere criticato secondo i canoni dell’estetica
cinematografica.
Ippoliti rincara la dose, accetta la definizione come un
vanto: “Ho fatto il peggior film nel peggior momento storico del cinema
italiano!”. La pellicola è un mito del trash,
tra l’altro la cosa più memorabile è la campagna pubblicitaria a base di Ciao, vediti Arrapaho! che invitava il pubblico a recarsi al cinema. La trama si
riassume in poche righe: Scella Pezzata non vuole sposare Cavallo Pazzo (Marra),
ma preferisce Arrapaho (Althaus), per questo la tribù dei Cefaloni è sul piede
di guerra. Ciro Ippolito porta al cinema la comicità musicale degli Squallor,
l’esperimento non è esaltante, ma rivisto oggi il film conserva un certo fascino
goliardico.
Pace è Palla Pesante, Cerruti è come sempre la voce fuori campo,
Bigazzi è il russo che capita per caso nel villaggio indiano, Savio il parente
invitato al matrimonio (oltre a comporre le musiche), il regista Ippolito si
vede nel finale come direttore d’orchestra. Molta volgarità, battute risapute, alcune
inventate di sana pianta, improvvisate e prive di senso, tempi comici
dilettanteschi, regia approssimativa, ma nonostante tutto il film si guarda con
piacere. Originale la trovata degli spot pubblicitari che interrompono la
narrazione, un’idea che a suo modo anticipa Almodovar, segue il grido di dolore
di Federico Fellini e critica la pubblicità televisiva invasiva.
Tinì Cansino è
la protagonista femminile, la sua avvenenza da pin up anni Cinquanta aumenta l’interesse: prima la vediamo nuda in
una lunga sequenza sotto la cascata e poco dopo le sue lacrime bagnano una
florida mammella. Un film girato in 15 giorni, costato appena 135 milioni di
lire, dotato di una messa in scena poveristica,
realizzato da un regista incapace (ma ne è consapevole) e un direttore della
fotografia ancora peggiore. La storia è talmente misera che il regista deve
rimpolparla con spezzoni finto pubblicitari e alcune gag ispirate alle canzoni
del gruppo (Berta, Pierpaolo a Rio…) con il solo scopo di
raggiungere i 98’ previsti. Un anno prima era uscito il disco Arrapaho, ma anche Uccelli d’Italia era stato un successo e nel film abbiamo molti riferimenti
a brani canori e alla produzione degli Squallor.
Arrapaho è un musicarello
atipico, un musical demenziale interrotto da gag improvvisate, da canzoni come La pioggia per invocare l’acqua dal
cielo, da apparizioni trash di Cesare
Ragazzi (si cita un tormentone pubblicitario in voga negli anni Ottanta) che si è messo in testa un’idea meravigliosa.
In realtà non si tratta di Cesare Ragazzi, ma di una controfigura che
interpreta il ruolo del caratterista. Da un film così assurdo si accetta anche
una ripresa contro luce, perdoniamo persino le sfocate contro sole e la totale
improvvisazione delle gag.
Tra le cose migliori le allusioni alla tribù dei
Frocheyenne con il gay indiano Latte macchiato (“Quanto macchiato?” -
“Abbastanza, grazie”), la scritta finale The
Gay After, un trailer della telenovela Anche i ricchioni piangono, un buffo
individuo che rincorre un tram (chiamato desiderio?) e finisce per beccarsi uno
sputo in un occhio dal guidatore (Tranvel
Trophy). Un’altra battuta indimenticabile vede Capo di Bomba, figlio di
Palla Pesante (Pace), affermare che tra papà e mamma vuole più bene a Pippo
Baudo. Assurdo il finale all’Arena di Verona durante una messa in scena
dell’Aida con Ciro Ippolito nei panni del direttore d’orchestra e gli attori
che sfilano in costume egizio. Da notare che gli esterni del film sono girati
quasi tutti nelle campagne romane, persino alle famose cascate del fiume Treja
di Monte Gelato, nel comune di Mazzano Romano, vero tempio del cinema di genere
italiano. Inutile parlare di recitazione in un film simile che vede gli attori
interpretare ruoli sopra le righe, ai limiti della pura cialtroneria. I titoli
di coda rincarano la dose ringraziando una serie di attori invisibili che
ovviamente non hanno interpretato il film: Marlon Brando, Woody Allen… Un lavoro
impensabile, ai giorni nostri, consigliabile a chi non conosce la vera comicità
surreale, figlia di Arbore, Boncompagni, Bracardi, Marenco, Squallor e Ciro
Ippolito. Rendiamo omaggio a un certo tipo di genialità.
Arrapaho si ricorda anche come il primo film interpretato da Tinì
Cansino, nome d’arte dell’attrice greca Photina Lappa, nata in un paesino nei
presi di Atene nel 1959, anche se lei gioca per anni su presunti natali
statunitensi. Alcune fonti la danno nata a Lecce - si veda 99 Donne di Davide Pulici e Manlio Gomarasca - ma è Cosmo de La
Fuente - cantante venezuelano molto amico dell’attrice - a confermare le
origini greche. Studia danza classica, debutta in televisione nel sexy show Playgirl, insieme a Minnie Minoprio,
dove esibisce la sua prorompente bellezza. Tinì diventa famosa nel 1983 per la
partecipazione come ragazza fast food nel programma più seguito dai
giovani, quel Drive in di Antonio
Ricci che va in onda ogni domenica su Italia 1 - dal 1983 al 1988 - per la
regia di Giancarlo Nicotra. La fortuna della showgirl è l’incontro con il manager Alberto Tarallo, che le
suggerisce il nome d’arte di Tinì Cansino per sfruttare la somiglianza con Rita
Hayworth, il cui vero cognome era Cansino. Il manager fa di meglio, s’inventa
una finta parentela con l’attrice americana, sulla quale la showgirl vive di
rendita per anni, al punto che in molti pensano di trovarsi di fronte la nipote
della Hayworth.
La somiglianza con l’attrice statunitense sta nella fluente
chioma rossa e in un buffo accento americano inventato da registi e produttori.
In questa pellicola - trattandosi di un’indiana - i suoi capelli sono
nerissimi. L’attrice vanta una serie di relazioni con vip del mondo dello
spettacolo: Warren Beatty, Vasco Rossi, Kashoggi jr. e Saverio Vallone, ma non
sappiamo se tutte queste storie sono vere. La parentela con Rita Hayworth alla
fine viene smentita, Tinì scrive una sorta di biografia - confessione per il
periodico Blitz dove ammette che il
secondo marito di sua madre (Peter Cansino) è il nipote della Hayworth, ma pure
questa notizia va presa con beneficio d’inventario.
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