Regia: Carlo Lizzani. Soggetto e Ricerca Storica:
Fabio Pittorru. Sceneggiatura: Carlo Lizzani, Fabio Pittorru. Produttore: Enzo
Peri per Aquila Cinematografica. Fotografia: Roberto Gerardi. Montaggio: Franco
Fraticelli. Musiche: Ennio Morricone. Direzione Musiche: Bruno Nicolai.
Scenografia: Carlo Gervasi, Amedeo Fago. Costumi: Ugo Pericoli. Trucco: Alberto
e Giannetto De Rossi. Interpreti: Rod Steiger (doppiato da Nando Gazzolo),
Franco Nero, Lisa Gastoni, Lino Capolicchio, Henry Fonda (doppiato da Giorgio
Piazza), Rodolfo Dal Pra, Tom Felleghy, John Stacy, Giacomo Rossi Stuart,
Giuseppe Addobbati, Renato Paracchi.
Carlo Lizzani (1922 - 2013) è uno dei registi italiani
più impegnati del Novecento, una pietra miliare della nostra storia del cinema,
poco studiato e persino poco celebrato nell’anno della sua morte. Ex
partigiano, non poteva fare a meno di girare un film su Mussolini e di
esprimere il suo parere sugli ultimi eventi della guerra di liberazione. Partecipa
alla resistenza romana, attivista del Partito Comunista, scrive libri di
critica, saggi, sceneggiature neorealiste per De Santis, Rossellini e Lattuada.
Il suo debutto alla regia è segnato dal documentario Nel mezzogiorno qualcosa è cambiato (1950) e dal film Achtung! Banditi! (1951). Tra i suoi
lavori più importanti: Cronache di
poveri amanti (1954), Fontamara
(1980), Mamma Ebe (1985), Caro Gorbaciov (1988) e i televisivi Un’isola (1986) e La trappola (1989). Dirige la Mostra del cinema di Venezia, dal
1979 al 1982, si ricorda per molti saggi storico - critici sul cinema italiano
e per un’autobiografia (Il mio lungo
viaggio nel secolo breve). Muore nella sua città natale - Roma -, a 91
anni, cremato al cimitero Flaminio dopo funerali in forma civile.
Mussolini
ultimo atto è uno dei suoi film più
celebrati e trasmessi dalle televisioni italiane. Fabio Pittorru compie
un’attenta ricostruzione storica e scrive un soggetto basato sulla versione ufficiale della
fucilazione di Mussolini e della Petacci, avvenuta all’ingresso di villa
Belmonte, nella zona di Dongo da parte del colonnello partigiano Valerio. Non
si fa alcun cenno ad altre ipotesi meno attendibili come quella della uccisione
presso casa De Maria. Un film ritenuto scomodo, al punto che il 30 aprile,
durante la proiezione, venne fatto esplodere un ordigno al plastico presso un
palazzo del centro di Savona. Lizzani è simpatizzante comunista, ma dimostra
molta pietas umana nei confronti
della figura di Benito Mussolini e soprattutto verso una donna innamorata come
Claretta Petacci. Lascia il giudizio politico alla storia, fa pronunciare un
atto di accusa contro il fascismo ai personaggi dei partigiani, preferendo mettersi
da parte e tracciare la psicologia di un uomo sconfitto.
Lizzani ripercorre la
parabola decadente di Mussolini, dopo la fine della Repubblica di Salò,
racconta gli ultimi giorni del duce in fuga, fino alla sua cattura, travestito
da soldato tedesco, avvenuta a Dongo, da parte della sezione Garibaldi dei
partigiani di Como. La figura di Mussolini è quella di un uomo patetico,
sconfitto, che ricorda con nostalgia il passato splendore, cercando di
convincere i suoi aguzzini che la colpa è stata soltanto di Hitler. Il regista
alterna la fiction realistica, che
gode di una perfetta ricostruzione ambientale e scenografica, con filmati
d’epoca che documentano gli eccidi bellici, la lotta fascista contro i
partigiani, gli orrori della guerra civile, ma anche le parate e i fasti d’un
regime che celebra se stesso. Musica di Morricone suggestiva e mai invadente,
fotografia lacustre e montana dai toni pastello che varia dal giallo ocra al
rosso soffuso, come per rendere la tristezza degli ultimi giorni di vita d’un
uomo finito, montaggio serrato, costumi e ambienti ben ricostruiti.
Rod Steiger
è un Mussolini troppo caricaturale e la sua mimica facciale non cambia quasi
mai. In compenso Lisa Gastoni è una Claretta Pettacci umana e credibile, il
ritratto dolente d’una donna innamorata che non sa vivere senza il suo uomo e sceglie
di morire insieme a lui. Per quanto gli ultimi giorni del duce sono il racconto
d’una vigliaccheria quasi esibita, la figura eroica che sovrasta il racconto è
proprio quella della sua amante. Franco Nero è il comandante Valerio, colui che
è deputato a eseguire la sentenza di morte per evitare che gli americani
catturino Mussolini e lo sottraggano alla giustizia popolare. Perfetto nei
panni del duro, del partigiano senza scrupoli, così come è bravo Lino
Capolicchio a impersonare il partigiano più razionale e umano. Henry Fonda è un
impacciato cardinale di Milano, fuori parte, un interprete sprecato per un
simile ruolo.
Carlo Lizzani gira il film come se fosse un documentario,
imprimendo toni realistici che solo in poche occasioni lasciano spazio al
melodramma romantico. Ottima la tecnica del flashback
con cui il regista alterna la decadenza degli ultimi giorni e i ricordi dei
fasti imperiali, inserendo opportuni filmati d’epoca prelevati dai cinegiornali
anni Trenta prodotti dall’Istituto Luce. Ne viene fuori un racconto partecipe,
emotivo, compassionevole delle ultime ore di Mussolini. La critica di sinistra
degli anni Settanta puntò il dito accusatore sul fatto che nelle sequenze
finali lo spettatore è portato a parteggiare per il duce e a desiderare che non
venga fucilato. In definitiva sono i partigiani a fare la figura degli spietati
esecutori d’una sentenza che non tiene in minimo conto la pietas umana. Mussolini, invece, sembra un uomo distrutto,
indifeso, che pensa alla salvezza di moglie e figli, che vuole accanto a sé negli
ultimi istanti l’adorata Claretta. Un uomo solo, abbandonato da tutti,
disperato, in fuga dal suo passato, che “sarà ricordato come l’uomo che ha
fatto arrivare i treni in orario”, come dice il cardinale di Milano al suo
segretario.
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