di Giorgio
Capitani
Regia: Giorgio Capitani. Soggetto e Sceneggiatura: Franco Marotta, Sergio
Natta, Laura Toscano. Fotografia: Giorgio Di Battista. Montaggio: Antonio
Siciliano. Musiche: Piero Umiliani. Scenografia: Elio Micheli. Produttore:
Galliano Juso. Genere: Commedia. Durata: 92’. Interpreti: Lino Banfi, Agostina
Belli, Nando Paone, Luca Biagini, Chris Avram, Gordon Mitchell, Anna Teresa
Rossini, Pino Colizzi, Fabrizia Castagnoli, Stefano Antonucci, Dino Cassio,
Antonio Spinnato, Renato Cortesi, Sergio Tardioli, Pietro Zardini, Gianfilippo
Carcano, Aldo Massasso, Diego Verdegiglio, Pietro Ceccarelli, Adriana Giuffrè,
Mario Novelli, Vanni Materassi, Franca Scagnetti.
Vai avanti
tu che mi vien da ridere (1982) è una commedia che ricicla vecchie battute e presenta il sapore
della fiction televisiva. Lino Banfi conferisce comicità genuina alla
storia, ma non sono più i tempi d’oro della commedia sexy e la sua prima volta
con Capitani, alle prese con il cinema di serie A, non è memorabile. Il film è
interessante perché ironizza con intelligenza sul poliziottesco, un
genere che ha dato lustro al cinema italiano. Gli sceneggiatori Toscano,
Marotta e Nasca imbastiscono una modesta trama gialla che mostra inseguimenti,
sgommate, un minimo di vita poliziesca e di indagine, condita da battute da
avanspettacolo. La musica di Piero Umiliani conferisce ritmo alla pellicola e
sottolinea i momenti più divertenti. Il montaggio di Antonio Siciliano presenta
tempi televisivi, ma ha un buon ritmo.
Pasquale
Bellachioma (Banfi) è un imbranato commissario di polizia che ogni volta
combina guai sulla scena del crimine. Pino Colizzi è il superiore, un tipo
determinato che porta a termine ogni missione con successo, nemico giurato di
Bellachioma, al punto che vorrebbe trasferirlo in provincia di Trento. Il
povero commissario è vessato da una ex moglie, da un cane San Bernardo che lo
segue ovunque e da un figlio terribile che usa la sua casa per organizzare
feste. Il commissario Bellachioma cerca di riabilitarsi agli occhi dei
superiori seguendo la pista di un travestito (Belli), importante testimone in
una storia di attentati e utile per smascherare un killer internazionale
(Mitchell). Il commissario perde la testa per il bel travestito, va in crisi
per un sentimento che giudica contro natura, a un certo punto lei confessa di
essere una donna, ma uno spiazzante finale lascia intuire che forse non è così
vero.
Il film si
basa su vecchi equivoci già visti in precedenti commedie sexy e su battute
abbastanza divertenti ma riciclate. Le trovate sono mediocri, resta comunque
una discreta commedia sofisticata che evita cattivo gusto e cadute di stile,
trattando un argomento spinoso con classe ed eleganza. Il tono è da farsa ma lo
schema narrativo segue le regole del giallo comico, della commedia poliziesca
basata su un interprete sfortunato e su una comprimaria sexy. Lino Banfi ha
tutte le caratteristiche per interpretare un imbranato commissario di polizia sfortunato
e inetto. Tra l’altro l’aveva già fatto con buoni risultati comici in Brigadiere
Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia (1973) di Luca Davan (Mario
Forges Davanzati) - è un carabiniere ma il senso non cambia - e lo farà di
nuovo nel più importante Il commissario Lo Gatto (1986) di Dino Risi.
Agostina Belli è molto sensuale, regala alcuni castigati striptease,
diverse poste plastiche sul letto matrimoniale, ma si ricorda soprattutto
quando Banfi le strappa la gonna e resta in calzamaglia trasparente. Molte
sequenze citano la pochade e la commedia sexy, come la parte che vede
Banfi e Belli sul cornicione di una finestra mentre nella stanza si consuma un
rapporto sadomasochista tra un uomo e una donna. Immancabile la persiana
spalancata che colpisce sul volto il povero commissario mentre pronuncia la
frase fondamentale del film: “Vai avanti tu che mi vien da ridere!”.
Alcune
battute trash sono tipiche del vecchio Lino Banfi della commedia sexy:
“Quando la pasta non è al dente il cuoco è un deficiente!”, “La pasta al dente
e il commissario non è fetente”, cose ingenue che dette con la tipica
inflessione pugliese fanno sorridere. Infine citiamo la lite in autobus quando
un forzuto passeggero tocca il sedere ad Agostina Belli e le sequenze dove
Banfi si finge gay sfoderando una serie di movenze effeminate.
Vai avanti
tu che mi vien da ridere è anche un film che cerca di affrontare il problema dei gay e di un amore
diverso che mette in crisi un uomo che si reputa normale. Capitani vuol
far riflettere sul tema senza essere didascalico, ma con gli strumenti della
farsa che si compie nel rocambolesco finale. Agostina Belli è scoperta da Lino
Banfi mentre fa pipì in piedi nel bagno degli uomini. “Sei proprio sicuro di
volermi bene?”. La parola Fine lascia tutti nel dubbio.
Gordon
Mitchell è il killer dall’espressione truce che non dice una parola, ma fa
rimpiangere i tempi in cui interpretava Maciste.
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