Regia: Franco Martinelli (alias Marino Girolami).
Fotografia: Maurizio Centini. Direttore di Produzione: Sergio Garrone.
Dialoghi: Enzo Gicca. Musiche: Vassil Kojucharov. Edizioni Musicali: Cam. Aiuto
Regista: Fernando Poggi. Aiuto Operatore: Carlo Marotti. Fotografo di Scena:
Vincenzo d’Onofrio. Costumista: Laila Visintini. Produzione e Distribuzione:
Seven Film. Interpreti: Doroty Flower, Mary Govert, Margaret Harrison, Kerina
Mulligham, Mary (Marina) Lotar (Frajese), Barbara Manson, Tiony Flest.
Nudeodeon parafrasa il titolo di una fortunata trasmissione
televisiva (Odeon) che per prima ebbe
il coraggio di mostrare un nudo femminile frontale, realizzando un finto studio
sui costumi sessuali mondiali. Si comincia e si finisce con l’esposizione di
simboli fallici, statue e dipinti a tema erotico, risalenti alla civiltà
etrusca e greca. La morale non troppo profonda è che tutto il mondo è paese, il sesso unisce, come interesse
fondamentale del genere umano.
Nudeodeon è girato da Marino
Girolami (1914 - 1994), un prolifico veterano che firma alcune opere con il
nome di Franco Martinelli, oltre a questa ricordiamo il poliziesco Roma violenta. Il mondo movie sexy è un genere datato che serve a mostrare alcuni nudi
femminili con la scusa del documentario. In questo caso la produzione (Seven
Film) possiede del materiale prelevato da un documentario americano degli anni
Sessanta, chiama un regista esperto come Girolami per girare alcune
parti erotiche di raccordo e modernizzarlo. Ma la cosa peggiore sono le due
fastidiose voci fuori campo incaricate di recitare dialoghi ai limiti dell’assurdo.
Tutto suona falso fin dalle prime immagini, non c’è neppure il dubbio sulla
veridicità che accompagna i lavori - di ben altro spessore - di Gualtiero
Jacopetti. Segnaliamo una fotografia sporca di Maurizio Centini, sola cosa da
ricordare in un film che si può rivedere solo come reperto storico. La
parte documentaria ci porta in Polinesia, Copenaghen, Africa, New Jersey,
Inghilterra, Messico, Italia e Svezia, ma ogni spezzone è infarcito di sequenze
erotiche ai limiti del porno, in alcuni casi interpretati da attrici
specializzate come Marina Lotar. Vediamo l’amore libero in Polinesia con i nativi
obbligati a soddisfare le loro donne ben cinque volte al giorno, molto voyeurismo e stucchevoli discorsi su
femminismo e omosessualità, ma anche i liberi costumi delle ragazze danesi e
svedesi.
Fantasia sbizzarrita ai limiti del ridicolo, ma anche cattivo gusto
condito di battute omofobe a base di “uomini che imitano le donne” e sequenze
di parrucchieri gay che elargiscono servizietti ai clienti. Gli sceneggiatori s’inventano una scuola
inglese dove gli studenti amoreggiano tra i banchi invece di ascoltare noiose
lezioni, ma anche balletti messicani sulle tombe dei cari estinti nel giorno
dei morti. Molte scene sono girate in studio e nei night, come la parte in cui
Marina Frajese interpreta una padrona di casa americana intenta a organizzare
un’orgia per gli ospiti. I geyser afrodisiaci sono un’altra trovate dei
soggettisti, tanto per far vedere sequenze di rapporti erotici a bordo di una
roulotte, così come è un’altra balla incredibile la storiella dei tedeschi rimasti
in Papuasia per praticare sesso sfrenato con le native. Si procede così,
tra zummate e fotografia in quattro colori, con inserti che mettono in
primo piani nudi femminili, masturbazioni, giganteschi vibratori e
sequenze di rapporti sessuali. Marco Giusti non ha visto il film perché parla
di “un misterioso piccolo porno anni Sessanta che Girolami adatta per i nuovi
gusti anni Settanta inserendo nuove scene molto più piccanti. Cast di
sconosciuti. Film invedibile”. Noi l’abbiamo visto. Siamo stati fortunati.
Tutti
gli altri dizionari di cinema non ne parlano perché non sanno che dire.
Colmiamo una lacuna, anche se il film non merita più di tanto. Molto qualunquismo
e nessuna scientificità, tanto razzismo e parecchio sesso inserito in maniera
posticcia, accompagnato da commenti che vorrebbero essere ironici, ma che
risultano soltanto stupidi. Il film ha fama di pellicola hard, sembra che sia
stato sforbiciato dalla censura italiana, ma nella copia da noi visionata non
abbiamo visto penetrazioni, anche se le sequenze di masturbazione sono molto
esplicite. Vero è che molto spesso la pellicola sembra interrompersi al momento
giusto, con un taglio provvidenziale, mentre l’attrice di turno sta per fare
sul serio. Tra le peggiori battute di un dialogo - davvero osceno! - curato (si
fa per dire) da Enzo Gicca: “Se muore un bambino nero che importa? Ce ne sono
tanti!”. Ho riascoltato diverse volte per vedere se avevo capito bene. Anche
questa era l’Italia degli anni Settanta. Non la rimpiangiamo troppo.
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