di Roger A.
Fratter
Sottotitolo: Preferisco
suoni lontani. Regia: Roger A. Fratter. Soggetto e Sceneggiatura: Roger A.
Fratter, Lauro Certaldo. Montaggio: Roger A. Fratter. Fotografia: Lorenzo
Rogan. Operatori: Stefano Ravanelli, Omar Fratter. Musiche: Massimo Numa,
Valerio Ragazzini. Edizioni Musicali: Beat Records (Roma). Brani Musicali: Dammi Tempo, Capitan Coraggio di Michael Vegini; pezzi al piano di Alessandro
Fabiani; Touch Me di Malinowska, Puglisi, Toso, interpretrato da Monique.
Dipinti: Oliviero Passera. Direttore di Produzione: Lauro Certaldo. Produzione
e Distribuzione: Beat Records Company. Durata: 90’. Genere: Introspettivo.
Interpreti: Roger A. Fratter (Raffaele), Anna Palko (Paola), Monika Malinowska
(Greta), Giulia Marzulli (Gianna), Anthony Paul (Enzo), Valerio Ragazzini
(Vanni), Matteo Maffeis (Michele), Rachel Rose Wood, Pietro Mosca (Saggezza).
Roger A. Fratter è un regista indipendente
controtendenza. Abbiamo cominciato ad apprezzare la sua opera con Sete da vampira (1998), Anabolyzer (2000), Abraxas (2001), Flesh Evil (2002), Innamorata della morte (2004), quando erano tempi magri per il
cinema horror nostrano. Adesso che molti indipendenti sono tornati a fare cinema
di genere lui si dedica a pellicole introspettive, commedie erotiche e cinema
d’autore. Due film interessanti come Rapporto
di un regista su alcune giovani attrici (2008) - una sorta di personale Otto e mezzo - e Tutte le donne di un uomo da nulla (2010) - storia di un
nullafacente mantenuto da una moglie ricca - anticipano il sofferto e
introspettivo Femminilità incorporea,
che presenta il suggestivo sottotitolo Preferisco
suoni lontani.
Vediamo la trama. Raffaele, scrittore insoddisfatto
della vita materiale e sentimentale che conduce, decide di scappare da moglie,
figlia e amante per ricercare il suo mondo interiore, la donna ideale e il senso
vero dell’esistenza. Raffaele acquista un quadro che raffigura una figura
femminile, sparisce dalla realtà, vive in un mondo onirico dove tutto è possibile
e le regole della realtà non esistono. “Quando il nostro microcosmo comincia a diventare
incerto è in quel momento che udiamo una voce chiamarci da lontano”, dice il
regista nella didascalia iniziale. Il protagonista precipita in un abisso di
incomunicabilità, perdendo ogni riferimento con la realtà dopo la rottura di un
duplice rapporto con moglie e amante. Scappa dalle sue donne, persino dalla
figlia (complice della fuga), si libera da ogni vincolo, anche del suo editore,
per intraprendere un viaggio mistico alla ricerca di se stesso e di un donna
ideale che è destinato a non trovare.
Il film è girato in una Bergamo luminosa e spettrale,
raffigurata da tersi cieli invernali e cupe giornate cosparse di nuvole intrise
di pioggia. La pellicola gode di una fotografia solare, lucida, colorata, ed è
girata con movimenti di macchina decisi, soggettive intense, piani sequenza
introspettivi. Il messaggio subliminale fa capire che l’arte è sempre una via
d’uscita, perché trasforma la realtà, contribuisce a far accettare il mondo
interiore, riveste una funzione terapeutica, aiuta a capire se stessi. Il
regista calca la mano sul cinema surreale per dimostrare la relatività
dell’esistenza e il diverso modo di vedere le cose. Un filmino amatoriale
(girato con tecnica da Cannibal Holocaust
di Ruggero Deodato) cambia il contenuto alla seconda visione: prima mostra una
famiglia felice, subito dopo la cruda realtà dell’incomunicabilità tra uomo e
donna. Il ritorno del marito, infine, non sappiamo quanto sia reale o quanto
una costruzione fantastica della moglie, mentre il regista ci fa capire che
l’uomo si è perduto dentro un quadro, cercando un donna che forse non troverà
mai. Femminilità (in)corporea insiste
molto sulle sequenze erotiche, mai
così audaci, intense e credibili in un film di Fratter. Il discorso più
importante del regista segue la tematica pirandelliana de Il fu Mattia Pascal, tra soggettive nervose e lunghi piani
sequenza: la fuga di un uomo dalle donne della sua vita, ma soprattutto da se
stesso, alla ricerca di qualcosa che non troverà. “Le due metà non si uniranno
mai perfettamente”, dice la didascalia finale, subito dopo i titoli di coda. La
donna perfetta non esiste, resterà un sogno impalpabile di un uomo in fuga.
Roger Fratter gira con eleganza e sapienza tecnica un film difficile, ben
recitato da lui stesso (nei panni del protagonista) e dalle tre donne Anna
Palko (Paola), Monika Malinowska (Greta) e Giulia Marzulli (Gianna). Da
recuperare nei circuiti Home Video, perché non è un prodotto destinato al
cinema.
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