di Claudia Marinelli
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Montaggio: Susan E. Morse
Scenografia: Stuart Wurtzel
Fotografia: Gordon Willis
Musica: Dick Hayman
Genere: Commedia - fantastico
Cast: Mia Farrow, Jeff Daniels, Danny Aiello, Van Johnson, Edward Herrmann, Dianne Weist
Produzione: U.S.A. 1985
Durata: 82 minuti
Premi: Golden Globe per la migliore sceneggiatura
Perché rimaniamo incantati dalle immagini che scorrono su di un grande schermo, ben sapendo che si tratta di finzione? E come riusciamo ogni volta che guardiamo un film a saltare a piedi pari nel mondo e dell’immaginario senza neanche accorgercene? Forse non troveremo mai una risposta, ma continueremo ad andare al cinema come la protagonista di questo incantevole film, il tredicesimo di Woody Allen, che ha appena compiuto ventisette anni. New Jersey, anni ’30. Cecilia, Mia Farrow, è una maldestra cameriera la cui vita, anche se a colori, sembra coperta di grigiore: il suo matrimonio con Monk, Danny Aiello, fannullone e un po’ despotico, non è certo felice, per far quadrare i conti s’improvvisa lavandaia, vive in una cittadina povera e triste dove la gente non ha lavoro.
L’unico conforto per Cecilia è andare al “Jewel Theatre” a vedere gli ultimi successi di Hollywood e, come milioni di americani, rimanere incantata dalle storie in bianco e nero raccontate sullo schermo, dove la vita è ben più piacevole della squallida realtà. Al cinema si proietta “La rosa purpurea del Cairo”. Il film ha “stregato” Cecilia che non riesce a pensare ad altro, anche mentre lavora dimenticando le richieste dei suoi clienti e scontentando con la sua goffa distrazione il proprietario del locale che la licenzia. Affranta Cecilia vaga per le strade polverose della sua città e finisce per ritornare al cinema dove vede e rivede lo stesso film. Ma ecco che, quando per l’ennesima volta il personaggio Tom Baxter, Jeff Daniels, esploratore, poeta e avventuriero, entra in scena, invece di recitare la sua parte, si gira verso la cameriera e le dice: “Mio Dio, ti piace proprio questo film. Sarà la quinta volta che lo vedi.” Tom scende dallo schermo per entrare nella vita reale e in quella della protagonista. La coppia scappa fuori dal cinema lasciando sia i personaggi del film, sia gli spettatori nella confusione più totale. Mentre la coppia di fuggitivi gode della presenza reciproca andando in giro per la città, conoscendosi, e mangiando in costosi ristoranti che non accettano i soldi falsi di Baxter, il produttore del film è preoccupatissimo in quanto tutte le copie della pellicola nei cinema d’America sono ferme per mancanza del personaggio. Decide così d’interpellare Gil Shepherd, l’attore che interpreta Tom Baxter, per trovare Cecilia e Tom e convincere Tom a ritornare nel film. Gil preoccupato che la sua carriera venga rovinata dal suo stesso personaggio vola in New Jersey, trova Cecilia e abilmente le fa credere di innamorarsi di lei. Cecilia è confusa, ritorna da Tom che la vuole sposare e la porta nel film.
Il personaggio-ospite Cecilia però non appartiene alla storia e ne sconvolge tutte le dinamiche. I personaggi decidono di mandare all’aria la trama mentre Tom e Cecilia si godono New York di notte. Ma Gil torna al cinema proprio quando Tom e Cecilia ritornano dalla loro notte a Manhattan e le prime luci dell’alba illuminano i grattacieli oltre la finestra. L’attore dice a Cecilia che è geloso, che è innamorato di lei e che la vuole portare a Hollywood. Cecilia scende dallo schermo, è confusa, deve decidere chi scegliere: l’onesto coraggioso, romantico e irreale Tom, oppure il vero Gil. Cecilia esita ed infine sceglie la realtà. Tom sconsolato ritorna nel film. Cecilia corre a casa a fare le valige per partire con Gil e poi corre all’appuntamento davanti al “Jewel Theatre” per scoprire che Gil è partito lasciandola sola e che il film è stato ritirato dalle sale. Affranta entra nel cinema dove adesso stanno proiettando “Il cappello a cilindro” con Fred Astaire e Ginger Rogers. Mentre la famosa coppia di ballerini volteggia leggera alla musica della canzone “Cheek to cheek”, lo sguardo della protagonista è afflitto, quasi non riesce a guardare il grande schermo ma poi, piano, piano viene catturata dalla magia dalle immagini e il suo viso si trasforma da triste ad attonito ed infine trasognato. Mentre l’immagine si dissolve lentamente, un dolce sorriso appare sul volto di Cecilia.
Woody Allen
La sceneggiatura, la scenografia, la fotografia e le musiche si armonizzano in modo così perfetto in questo film da farci dimenticare di essere in un cinema. Ottima la ricostruzione dell’America durante la Grande Depressione: lo squallore delle strade polverose, la tristezza degli interni delle case, il parco giochi abbandonato. E la scenografia si avvalora dell’attenta fotografia di Gordon Willis che imprime a tutte le scene una dominante beige-marrone, in netto contrasto con il bianco e nero della pellicola dalla quale Tom scappa. Le musiche originali sono di Dick Hyman ma sono affiancate da numerose arie famose degli anni ’30. E gli attori non potevano recitare meglio le loro parti, prima fra tutti Mia Farrow, che con naturalezza passa dalla realtà alla finzione, e Jeff Daniels che interpreta in modo brillante il sognatore-avventuriero Tom Baxter e l’egocentrico Gil Shepherd. Ma è la sceneggiatura originale che fa di questo film un piccolo gioiello.
Che cosa racconta la pellicola? A ben rifletterci una storia molto triste: una donna con un’esistenza squallida va al cinema per dimenticare i suoi problemi, rimane affascinata dalle immagini e uno dei personaggi che lei ama di più esce dallo schermo e le propone di lasciare la realtà per il mondo della finzione dove tutto è più semplice. L’attore che interpreta il personaggio preoccupato per la sua carriera, trova la donna, le fa credere d’innamorarsi di lei. La donna è confusa deve scegliere chi seguire: il personaggio o l’attore. Crede all’attore e sceglie la realtà, per poi scoprire che è stata presa in giro. Non le rimane altro da fare che continuare ad andare al cinema e “cibarsi” delle immagini che passano sullo schermo. La trama sembrerebbe più adatta a una tragedia, invece “La rosa purpurea del Cairo” è una deliziosa commedia, che ci lascia incantati, sognanti e affascinati. Come è potuto succedere? I dialoghi di una coerenza ferrea, rimangono però in costante equilibrio tra assurdità, surrealismo. Ogni personaggio, che sia “reale”, come Cecilia, Monk, e Gil, o fittizio come Tom e gli altri componenti del cast del film “la rosa purpurea del Cairo”, parlano e agiscono con perfetta congruenza con il ruolo che hanno nella vita o nel film. Da questo “semplice” accostamento tra reale e immaginario, ne scaturiscono i numerosi paradossi e la comicità della pellicola. Tom Baxter esce dallo schermo e piomba nella realtà. Da “bianco e nero” diventa a colori, ma il suo carattere idealista, coraggioso, leale e impetuoso rimane quello del personaggio del film che interpreta. Solo lui può “rapire” Cecilia, la sognatrice incallita, ma anche temeraria, capace di perdere il lavoro per un film. Cecilia non si pone domande, accetta la sua nuova realtà come “naturale” insieme al simpatico Tom, la cui sicurezza viene appena disturbata dalla scoperta che il ristorante non accetta i soldi che lui si è portato dal film, e che le macchine non si mettono in moto senza chiavi. Cecilia salta nel mondo del film “La rosa purpurea del Cairo”, ma rimane sempre umana anche nel lussuoso ristorante dove si accorge che lo champagne non è proprio champagne e dice a Tom: “Non so quanto ti fanno pagare, ma questo champagne è gazzosa.” Rimane dolce e fedele a se stessa quando dice di no a Tom che, piacevolmente sorpreso dal fatto che dopo un bacio appassionato non c’è la dissolvenza, non vede l’ora di sperimentare l’amore senza sparire. L’egocentrico Gil, quasi si scorda del problema del suo personaggio che è scappato dal film quando Cecilia gli fa dei complimenti. E, nelle brevi, rapide battute scambiate tra Gil e Tom, quando s’incontrano la prima volta, i dialoghi sono tanto paradossali quanto divertenti proprio perché i personaggi si parlano seguendo la logica appartenente al loro mondo. Gil arrabbiato dice a Tom: “Non puoi farmi questo, è il mio ruolo migliore, sono stato acclamato dai critici.” Tom risponde: “Per come lo faccio io.” E Gil è sconcertato, si gira verso Cecilia dicendo “No, sono io, sono io non è evidente?” chiede conferma alla Cecilia reale, perché anche lui sta dubitando di se stesso. Se si osserva bene la scena, mentre Gil dice quest’ultima battuta girato verso Cecilia, Tom rimane calmo, si rimette a posto la giacca, sa chi è, non guarda Cecilia. Il reale Gil sta dubitando della sua realtà, ma non Tom, ed è il sottile, paradossale messaggio che recepiamo attraverso i movimenti dei personaggi supportati dai dialoghi, a farci ridere. E anche i dialoghi finali in cui Cecilia farà la sua scelta, sono un piccolo capolavoro per la loro semplicità carica di profondi significati. Cecilia deve scegliere tra Gil e Tom. Il personaggio della contessa nella pellicola dice a Cecilia: “Vai con l’uomo vero, noi siamo limitati.” Mentre il personaggio Rita, le consiglia: “Vai con Tom, non ha difetti.” Infine Tom per convincere Cecilia si descrive: “Ti amo, sono onesto, affidabile, coraggioso, romantico e un gran baciatore:” Al che Gil controbatte subito: “E io sono vero.” Ed infine il personaggio Larry, interpretato dal bravo Van Johnson conclude: “Scegli uno dei due e sistemiamo la faccenda.” Le dice. “La più umana delle qualità è la capacità di scegliere.” E Cecilia sceglie il reale perché è umana e dunque coerente con se stessa. Potrei adesso collegare questo piccolo-grande film al dramma “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, che sicuramente Woody Allen avrà letto, ma qualsiasi artista prima di diventare un artista ha letto e visto le opere degli altri autori, le ha amate o odiate, le ha sopratutto rielaborate. Si potrebbe scrivere un intero saggio sul rapporto attore - personaggio che interpreta, e di come il cinema ci coinvolga attraverso il meccanismo dell’identificazione, ma non credo che questa problematica sia stata la ragione primaria per la creazione di questo film, che si presta a tante chiavi di “lettura”. Concentriamoci dunque su ciò che il film ci lascia a noi spettatori. Quando le luci si spengono proviamo un senso di serena e dolce completezza molto difficile da esprimere con le parole, come se il film non si potesse di fatto “spiegare”. Quello che recepiamo meglio forse è proprio l’amore per il cinema perché è cinema. Un amore appassionato e assoluto, che non si pone domande dei “perché” della sua esistenza, in quanto l’amore stesso è mistero. La tenerezza, la delicatezza, l’ironia con le quali realtà e fantasia si mescolano, celebrano in modo incondizionato l’arte più sfuggevole e suggestiva che forse l’uomo abbia mai inventato. E la scena finale, con le immagini di Fred Astaire e Ginger Rogers che ballano mentre il viso di Cecilia cambia da costernato a incantato, che altro è se non un tributo alla magia del cinema?
Per vedere qualche sequenza: http://www.youtube.com/watch?v=CiENeCIgzy0
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