venerdì 24 febbraio 2012

Marnie - Il cinema di Claudia 5

di Alfred Hitchcock


Regia : Alfred Hitchcock
Sceneggiatura: Jay Presson Allen
Direttore della fotografia: Robert Burks,
Montaggio: George Tomasini
Costumi: Edith Head
Musica: Bernard Herrmann
Cast: Sean Connery, Tippi Hedren, Diane Baker, Martin Gabel, Louise Latham
Anno di produzione: 1964
Durata: 129 minuti 


Il pubblico e la critica cinematografica non gradirono “Marnie” al momento della sua uscita nelle sale ma, a distanza di quasi cinquant’anni, possiamo rivalutare questa avvincente pellicola nella quale una impeccabile Tippi Hedren  recita accanto a  Sean Connery, allora trentaquattrenne, reduce dal successo dei due suoi primi “007”.  L’abile cleptomane Margaret Edgar, Marnie, (Tippi Hedren) è appena scappata con il contenuto della cassaforte del suo ultimo datore di lavoro, Mr. Strutt di New York, che ha nel suo portafoglio clienti la facoltosa ditta di Mark Rutland (Sean Connery) di Philadelphia. Mark aveva notato la donna durante una visita agli uffici di Strutt. Margaret mette al sicuro il malloppo, cambia il colore dei capelli ma, prima di cercarsi un nuovo lavoro dove mettere a segno un altro colpo, va a trovare il suo amato purosangue Florio che tiene in pensione presso una scuderia, e sua madre zoppa, che la crede segretaria di un facoltoso milionario. Tra la madre poco espansiva e la figlia esiste un muro di tensione le cui ragioni ci sono ignote, ma capiamo che Marnie, non si sente amata e scopriamo che è terrorizzata dal colore rosso e dai temporali. Marnie si trasferisce a Philadelphia dove viene assunta con il nome di Mary Taylor, presso la ditta di Mark Rutland, non sapendo dei rapporti tra la ditta Rutland e Strutt.  Mark è vedovo, vive nella sua lussuosa tenuta con l’anziano padre e la giovane cognata, Lil, innamorata di lui e rimasta a vivere con il cognato  anche dopo la morte della sorella. Il facoltoso uomo d’affari ha riconosciuto la ladra, ma l’ha assunta perché attratto e incuriosito  da lei. Un sabato pomeriggio, mentre Marnie sta facendo degli straordinari nell’ufficio di Mark, scoppia un temporale che provoca nella donna un attacco di panico. Mark l’aiuta a ritrovare la calma e  la bacia. I due cominciano a vedersi e Marnie sembra attratta da Mark, pur rimanendo alquanto fredda. Quando Mark la presenta a suo padre e alla cognata, la cleptomane decide che è arrivato il momento di svaligiare la cassaforte di Rutland e di scappare. Questa volta però Mark la trova subito e la obbliga a restituire il denaro e a sposarlo, per non andare in prigione. Ha intuito che alla base del comportamento di Marnie c’è un trauma e la vuole aiutare, anche perché è interessato a tutte le patologie della psiche. Ma Mark non ha valutato in pieno la gravità della situazione che verrà fuori durante il viaggio di nozze: Marnie è frigida e non può neanche essere toccata dagli uomini. Il marito per qualche tempo asseconda la moglie cercando di conquistarla ma poi, in un momento di frustrazione e di rabbia, la violenta. Marnie tenta il suicidio e la coppia torna a casa prima del tempo.


Mark per guadagnare la fiducia e l’affetto della moglie, le porta Florio, il suo amato cavallo, e visto che lei non si vuole far curare, diventa il suo analista e scopre l’esistenza della madre a Baltimora, una donna che si guadagnava da vivere facendo la puttana, e che ha ammazzato un marinaio durante una colluttazione, quando la figlia aveva cinque anni.  Dopo questo incidente la madre è rimasta zoppa. Il padre di Mark e Lil organizzano una festa e una caccia alla volpe per presentare Marnie “in società”. Lil di nascosto ha invitato Strutt che riconosce subito la ladra. Mentre Mark decide di convincere Strutt a ritirare la denuncia, Marnie, impegnata nella caccia alla volpe, ha un incidente, cade da cavallo e ammazza Florio. Sconvolta Marnie  cerca ancora di scappare, va presso gli uffici della Rutland per rubare il denaro, ma non ci riesce, viene raggiunta da Mark che la porta dalla madre a Baltimora. Sarà la scena finale e il confronto tra madre e figlia a farci scoprire, insieme alla protagonista, il grande segreto della sua infanzia: è stata lei ad ammazzare il marinaio per difendere la madre che l’uomo stava picchiando. Finalmente la madre non deve più nascondere la verità, abbassa le sue difese e spiega alla figlia cosa effettivamente è successo facendole capire che le ha sempre voluto bene. Non sappiamo se Marnie sia definitivamente guarita, intuiamo dei rapporti futuri  più sereni tra madre e figlia, anche se non facili, e il film si conclude con la protagonista che esprime il desiderio di stare accanto al marito.    


Il film è tratto da un romanzo di Winston Graham   ed ha avuto una realizzazione  laboriosa. Il copione, rimaneggiato più volte da sceneggiatori diversi, prenderà la sua forma definitiva con Jay Presson Allen, una scrittrice di teatro. Hitchcock aveva chiesto a Grace Kelly di recitare la parte di Marnie, e l’allora principessa di Monaco aveva dapprima accettato per poi rifiutare qualche mese dopo. La parte fu dunque data a Tippi Hedren, che aveva già recitato ne “Gli uccelli” l’anno precedente. La pellicola viene anche considerata l’ultimo film della “età d’oro” di Hitchcock e segna la fine delle storiche collaborazioni con George Tomasini, Robert Burks e Bernard Herrmann. Nonostante le critiche spietate che accolsero il film nel 1964, ancora oggi la pellicola ci emoziona e ci tiene incollati allo schermo  per più di due ore. Forse si tratta proprio di magia la capacità del regista di coinvolgere lo spettatore nelle vicende della protagonista, al punto di farci desiderare la sua “salvezza” fin dall’inizio, anche se sappiamo che si tratta di una ladra. Chi è questa donna così bella ed elegante? È impeccabile, eppure è fragile. È una ladra ma è anche una vittima. Ma una vittima di che cosa? Che cosa le è capitato per avere una così profonda repulsione per gli uomini? Sembra attratta da Mark, eppure vuole scappare da lui. Marnie è un  film complesso e intenso, come la sua protagonista, che vuole indagare sul problema dei traumi infantili e le loro conseguenze sulla vita di chi li subisce. È anche un film che indaga sui  rapporti  madre - figlia e uomo – donna, che rimangono instabili e angoscianti per tutto il film. Marnie vuole l’amore di sua madre. Come una bambina desiderosa di piacere porta a quest’ultima regali costosi, le invia dei soldi, vuole apparire come il modello di donna “decente”, frigida e impeccabile che la madre le ha dato, ma tutti i suoi sforzi risultano vani, perché sua madre neanche riesce a toccarla. Il suo amore frustrato allora si tramuta in odio e Marnie sfoga la sua rabbia provocando una reazione violenta nella madre che la tocca solo per darle uno schiaffo. Ma questa madre zoppa,  così fredda all’apparenza, ha anche lei un atteggiamento ambivalente: quando la figlia si ripresenta a casa, immaginiamo dopo un periodo di tempo abbastanza lungo, sembra sinceramene felice di vederla, dapprima la loda per “non avere bisogno degli uomini” e poi la critica ferocemente per il colore troppo chiaro dei suoi capelli che serve solo a “dare la caccia agli uomini”. Si erge così un muro d’incomprensione e risentimento tra le due donne impossibile da scalfire, e dovremo aspettare la scena finale per capire le ragioni di questa costruzione tanto assurda quanto inquietante. Lo spettatore rimane coinvolto, incuriosito e affascinato dai due infelici personaggi femminili, non riesce a giudicarle, prova inquietudine e desidera scoprire quel “qualcosa” di importante che appartiene presumibilmente al passato e che è il responsabile dei loro comportamenti.
I rapporti di Marnie con gli uomini sono anche loro ambigui. Questa donna sembra aver capito alla perfezione come usare la sua bellezza, come muoversi a “piccoli gesti” (si tira la gonna  verso le ginocchia quando si sente osservata) per stimolare le fantasie sessuali nel sesso opposto. Si guadagna la fiducia sul posto di lavoro rimanendo riservata e lavorando in modo ineccepibile per poi rubare con più facilità. Eppure intuiamo sin dall’inizio che Marnie non è solo una semplice furbissima ladra. Forse percepiamo che dietro al sorriso di convenienza stampato sul viso della protagonista ci sia “dell’altro”, o forse il personaggio derubato Strutt, che la descrive all’inizio del film, ci rimane da subito antipatico, o ancora l’amore di Marnie per il suo cavallo ci rende accondiscendenti, sicuramente affascinati.  Fatto sta che quando  Marnie incontra Mark desideriamo che s’innamori, e  durante la scena del furto da Rutland rimaniamo dalla sua parte, non vogliamo che venga scoperta anche se sta commettendo un crimine.


Mark, interpretato da un bravissimo Sean Connery, è un uomo solido e sicuro ma anche eccentrico, forse feticista. Si innamora della ladra perché è ladra, perché rappresenta un tipo di donna fuori dal comune che lui deve “domare” più che dominare, perché sia contraccambiato il suo amore e la sua passione. E Marnie lo capisce benissimo. Infatti quando Mark dichiara il suo amore la protagonista risponde: “Tu non sei innamorato di me, sono qualcosa che hai catturato, un specie di animale che hai intrappolato.”
Ma ad un’analisi più approfondita dei gesti della protagonista,  Marnie non è poi una frigida irrecuperabile. Anche lei è attratta da Mark, lo capiamo ad esempio dall’espressione del volto che ha perso il sorriso “stampato” quando lavora nell’ufficio di Mark, da come si lascia baciare dopo l’attacco di panico, che ha demolito tutte le sue “difese” e da come, realizzato che Mark si sta innamorando di lei, e che lei prova attrazione per l’uomo, decida in tutta fretta di derubarlo e di scappare. Per la prima volta nella sua vita, a dispetto di se stessa, un uomo è riuscito a scalfire  l’imponente muro di protezione che lei stessa aveva fabbricato. Infatti quando Mark la trova e la riporta a Philadelphia, lei gli spiega la sua fuga così: “Avevo bisogno di scappare, scappare da Rutland,  non lo capisci? Le cose erano… noi eravamo…”, a significare che i due si stavano innamorando. Poi aggiunge: “Dovevo andarmene prima di farmi del male.”  Ma purtroppo questa iniziale attrazione viene risucchiata dai problemi più profondi della protagonista e si dovrà aspettare la rivelazione finale perché la donna infine riesca a vivere le sue emozioni e ad avere, si spera, rapporti più sereni con suo marito.
Il film viene classificato tra i “classici” di Hitchcock. Lo spettatore è sempre coinvolto nelle vicende dei personaggi grazie ai numerosissimi primi piani e ai movimenti della cinepresa che annunciano con sapienza l’imminente avvenimento drammatico. Uno dei migliori esempi è l’entrata in scena di Strutt durante la festa, annunciata solo con i movimenti della cinepresa. Strutt riconoscerà Marnie, aumentando ulteriormente la tensione nel film e accelerando l’arrivo del punto culminante della storia.  Il regista inquadra l’ampio ingresso dall’alto, con gli invitati che Lil accoglie sorridendo, e poi si avvicina lento e inesorabile, alla porta d’ingresso. Lo spettatore intuisce subito che da quella porta entrerà qualcuno di importante per la storia e riconosce poi all’istante l’antipatico personaggio dell’inizio del film in un conseguente primo piano. Altra scena memorabile è quella del furto, che si svolge nel totale silenzio. La scena è divisa in due dal muro basso  che divide la stanza della cassaforte dalla stanza degli impiegati. Mentre Marnie, sulla parte destra dello schermo,  apre la cassaforte e prende i soldi, entra sulla sinistra dello schermo la donna delle pulizie che lava il pavimento con la schiena rivolta al pubblico.  Marnie la vede solo alla fine, mentre sta per scappare. Per non fare rumore si toglie le scarpe e le infila nella tasca del cappotto, scappa in punta di piedi, ma la telecamera si concentra sulla scarpa che sta uscendo dalla tasca. Tutti sappiamo che quella scarpa cadrà a terra e farà rumore, eppure desideriamo ardentemente che ciò non accada rimanendo col fiato sospeso. E sospiriamo di stupore e di sollievo con la protagonista quando, caduta la scarpa, la donna delle pulizie non si gira perché è sorda. Penso che Hitchcock, nel programmare la scena, si sia divertito a sorprendere lo spettatore. 
La sceneggiatura è anche molto particolare per delle “incongruenze” di trama che, in modo sorprendente, non disturbano la narrazione e non tolgono credibilità alla storia o ai personaggi. Questo film a mio avviso proprio per questa particolarità, è un “piccolo gioiello”.
Mark violenta Marnie. Eppure lo spettatore non riesce a vedere Mark come una persona ripugnante. Come può su di un grande schermo, un atto così terribile essere tollerato  dal pubblico? Eppure è una donna malata che viene stuprata. Perché lo spettatore non riesce a  provare indignazione? Perché non riesce a condannare il personaggio maschile? Come può un personaggio redimersi da un atto così brutto? Che cosa succede nella mente degli spettatori mentre la scena si dipana davanti ai loro occhi? Avviene secondo me un “piccolo miracolo” per metà dovuto alla regia e per metà al carisma e alla bravura di Sean Connery. Marnie strilla brevemente quando capisce che cosa succederà. Mark arrabbiato spoglia Marnie con violenza, la donna rimane in piedi, nuda, muta e pietrificata davanti al marito. L’inquadratura centra Mark la cui espressione del viso si addolcisce. Il personaggio espira, c’è rimpianto nei suoi occhi, ma c’è anche una forza inesorabile che non può combattere. Mark  si scusa stringendo le mascelle, parte il tema musicale in sottofondo mentre l’uomo si toglie la vestaglia e copre la moglie, ancora immobile e nuda davanti al marito. La telecamera si avvicina, l’uomo carezza i capelli biondi della donna e avvicina il suo viso a quello di lei, la bacia sulla tempia, la stringe e, anche se il profilo di Marnie sta in primo piano, e vediamo solo parte della guancia e di un occhio di Mark, sentiamo che lui la stringe con impeto, passione e dolcezza. La telecamera si sposta adesso e riprende la coppia sempre da vicino ma dall’alto e, mentre la musica diventa più forte, la cinepresa cambia angolatura, per riprendere i personaggi di profilo, si avvicina ancora mentre il volume della musica cresce. Mark bacia l’attaccatura del naso e poi la fronte della moglie, chiude gli occhi in una mossa tanto delicata quanto appassionata ed infine cerca la bocca della donna. Mentre la musica si fa più pressante ecco che  abbiamo un primo piano di Marnie inespressiva che  si adagia sul letto, e poi un primissimo piano degli occhi di Mark, carichi di desiderio e di passione. La telecamera infine si sposta per riprendere le tende scure mentre la musica diventa sempre più alta e più inquietante.
Ma si trattava di stupro? E come non essere attratti da quest’uomo che sì ha usato la violenza all’inizio, ma che freme di passione e di amore?  La sapiente regia che sposta la telecamera nel momento in cui avviene un cambiamento nell’espressione dei personaggi, che si avvicina per cogliere i minimi gesti è magnificamente supportata dall’interpretazione di Sean Connery, prima arrabbiato, poi dispiaciuto, poi inesorabilmente vittima della sua attrazione per la donna che ama e che cerca di coinvolgere con dei gesti lenti e impetuosi, pieni di passione e di carica sessuale. Il personaggio si redime perché ha amato, ha violentato perché non ha saputo resistere alla bellezza della moglie, ha ceduto all’impulso primario ma ha anche cercato un modo per raggiungere la moglie, coinvolgerla e salvarla. E lo spettatore nei pochi minuti in cui è testimone dell’atto efferato, capisce e perdona. 


In questo film il personaggio del marito funge anche da analista psichiatra. E, benché lo spettatore venga informato molto preso nella storia che Mark ha uno spiccato interesse per la zoologia e la psicologia, sembrerebbe alquanto inverosimile che un marito riesca ad aiutare una moglie con problemi così gravi come quelli di Marnie. Nel primo copione sembra ci sia stato il personaggio dello psichiatra  che poi venne eliminato durante l’ultima stesura.  Ma nel mondo del cinema, con una sceneggiatura accorta, una regia magistrale e l’interpretazione di Sean Connery e di Tippi Hedren, mai sopra le righe,  tutto diventa non solo possibile, ma anche avvincente. Piano, piano Mark riesce a conquistare la fiducia della moglie, portandole Florio, il suo cavallo, rassicurandola, proteggendola e affermando che non permetterà che vada in prigione. Il marito ammira questa moglie e la sua attrazione  per lei è palpabile durante tutto il film e palese durante la scena della festa, prima che entri Strutt. Mark vuole capire la moglie, viole che guarisca perché possano avere insieme una vita felice, per questo motivo indaga sul suo passato con l’aiuto di un investigatore, cosa che  uno psicoanalista non avrebbe fatto.  E Marnie forse per la prima volta si sente protetta e amata e chiede aiuto. Anche Marnie sembra crescere e desiderare un rapporto più felice, si lascia analizzare, accetta di “giocare” alle libere associazioni, tecnica usata dagli psicoanalisti e, quando il gioco si rivela devastante per lei, per la prima volta chiede aiuto al marito. Un personaggio in più, uno psichiatra, in questo film, con queste premesse sarebbe non solo stato inutile, ma avrebbe intralciato l’evoluzione dei rapporti interpersonali che permettono poi alla storia di risolversi nella scena finale. Paradossalmente la scelta di fare di Mark un  marito- psichiatra si è rivelata giusta anche se insolita.
Potrei ora fare i collegamenti tra questo film e altri film dello stesso regista che, per tematiche e personaggi, sono in qualche modo simili, come Vertigo, La donna che visse due volte, e Psyco. Potrei anche parlare del rapporto di Hitchcock con la psicoanalisi e di come abbia usato le teorie di Freud per costruire le trame di alcuni suoi film. Credo che sia stato scritto tantissimo al riguardo e dunque decido di terminare qui questa recensione perché non potrei aggiungere niente di veramente nuovo.
Concludo invitando chi mi legge a rivedere questa pellicola che ha conservato, a distanza di quasi mezzo secolo, ancora tutta la sua tensione narrativa, il suo fascino, e la magia della narrazione per immagini. 


Claudia Marinelli

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