domenica 26 aprile 2015
venerdì 24 aprile 2015
La signora della notte (1986)
Regia: Piero Schivazappa. Soggetto: Galiano Juso.
Sceneggiatura: Galliano Juso, Piero Schivazappa. Fotografia: Giuseppe
Ruzzolini. Montaggio: Daniele Alabiso. Organizzatore Amministrativo: Mario
Sampaolo. Costumi: Vittoria Guaita. Scenografia: Bruno Amalfitano. Organizzatore
Generale: Aldo U. Passalacqua. Musiche: Guido e Maurizio De Angelis. Edizioni
Musicali: Frame Music. Aiuto Regista: Marzio Casa. Operatore alla Macchina:
Giuseppe Di Biase. Fonico: Alessandro Zanon. Coreografo: Pino Pennese.
Produttore: Giovanni Bertolucci. Produttore Associato: Galliano Juso. Case di
Produzione: San Francisco Film srl, Metrofilm srl. Teatri di Posa: De Paolis
(Roma). Negativi: Kodak. Sviluppo e Stampa: Telecolor. Tecnico del Colore:
Nicola Tocci. Sonorizzazione: C. D. S.. Mixage: Gianni D’Amico. Effetti
Speciali: Fratelli Corridori. Interpreti: Serena Grandi, Fabio Sartor,
Francesca Topi, Alberto Di Stasio, Manuela Taschini, Stanko Molnar, Maurizio
Rocchi, Emma Gugliotta, Sergio Guidi, Mario Donatone, Cecilia Cerocchi,
Andreina Tomada, Lella Giacomini, Tiberio Mitri.
Serena Grandi è Simona, protagonista assoluta di un
erotico patinato come La signora della
notte, girato da un autore che non ti aspetti: il televisivo Piero
Schivazappa. “Un’operazione commerciale dichiarata, dedicata soltanto ai fan di
Serena Grandi”, afferma Roberto Poppi. Non ha tutti i torti. Il problema è che
noi un po’ fan della Grandi in gioventù lo siamo stati, quindi non possiamo
fare a meno di trovare nel film qualcosa di buono. Schivazappa, sollecitato da
Bertolucci e Juso, sceneggia una storia sulla falsariga de La chiave (1983) di brassiana
memoria, con situazioni erotiche stile Miranda
(1985), per concedere al pubblico nudi integrali ed esibizioni estreme della
protagonista. Simona si è sposata per amore, ma è insoddisfatta, vorrebbe più
fantasia dal compagno e immagina rapporti di tipo sadomasochista. Per questo si
concede a una serie di amanti occasionali, ma alla fine capisce che il suo unico
amore è il coniuge, si toglie la spirale e vuole mettere al mondo un figlio.
La signora
della notte si regge su una storia
molto esile, sceneggiata con sequenze ai limiti dell’imbarazzante e dialoghi
irritanti, ma Serena Grandi è straordinaria da quanto è disinibita. L’attrice -
reduce da Miranda - sforna una prestazione
ai limiti dell’hard che la ritrae in tutta la sua fulgida bellezza. Ricordiamo la
scena sul balcone, lei madida di pioggia, quindi nuda tra le braccia del marito
che le sugge il seno con avidità; lo stupro nel portone dell’abitazione dopo aver
interrotto un rapporto amoroso; una canna di fucile tra le gambe e la fellatio alla carabina; sul lungomare
con un regista impegnato a possederla in terrazza sollevandole la gonna alle
spalle; sul forcipe del ginecologo (Molnar) e quando il marito (Sartor) la possiede
ma non viene riconosciuto. Altra scena
di culto la sodomizzazione di Marco ad opera di Simona con una bottiglia di
birra vuota (si intuisce soltanto).
Non mancano fellatio simulate e molte sequenze di nudo integrale con la Grandi in primissimo piano impegnata in credibili rapporti sessuali. Musica anni Ottanta dei fratelli De Angelis - davvero pessima - purtroppo in primo piano quando Simona fa il suo mestiere di insegnante di aerobica. Il marito è un pilota di aerei, appassionato di motori e pugilato, a un certo punto prende a cazzotti un amante della moglie sotto gli occhi di una vecchia gloria della boxe italiana: Tiberio Mitri, nella parte di se stesso.
La cosa è altri racconti di Alberto Moravia è uscito nel 1983, è lecito sospettare che un minimo di ispirazione provenga da quel testo intriso di erotismo trasgressivo. Giuliana Gamba, nel 1989, ha sceneggiato uno dei racconti più estremi: La cintura, interpretato da Eleonora Brigliadori. Buona la fotografia romana di Ruzzolini, cupa e intensa, soprattutto i notturni con la luna alta nel cielo blu scuro. Schivazappa ha fatto di meglio, certo, lavori pregevoli come Incontro (1970), con Ranieri e Bolkan, l’ironico Una sera c’incontrammo (1975) e il trasgressivo Femina ridens (1969), ma qui dimostra di saper gestire la materia erotica, senza temere gli eccessi. Uno stile a base di panoramiche e zoom, molti primi piani, senza curare la recitazione degli attori, ma la suspense erotica non manca.
Non mancano fellatio simulate e molte sequenze di nudo integrale con la Grandi in primissimo piano impegnata in credibili rapporti sessuali. Musica anni Ottanta dei fratelli De Angelis - davvero pessima - purtroppo in primo piano quando Simona fa il suo mestiere di insegnante di aerobica. Il marito è un pilota di aerei, appassionato di motori e pugilato, a un certo punto prende a cazzotti un amante della moglie sotto gli occhi di una vecchia gloria della boxe italiana: Tiberio Mitri, nella parte di se stesso.
La cosa è altri racconti di Alberto Moravia è uscito nel 1983, è lecito sospettare che un minimo di ispirazione provenga da quel testo intriso di erotismo trasgressivo. Giuliana Gamba, nel 1989, ha sceneggiato uno dei racconti più estremi: La cintura, interpretato da Eleonora Brigliadori. Buona la fotografia romana di Ruzzolini, cupa e intensa, soprattutto i notturni con la luna alta nel cielo blu scuro. Schivazappa ha fatto di meglio, certo, lavori pregevoli come Incontro (1970), con Ranieri e Bolkan, l’ironico Una sera c’incontrammo (1975) e il trasgressivo Femina ridens (1969), ma qui dimostra di saper gestire la materia erotica, senza temere gli eccessi. Uno stile a base di panoramiche e zoom, molti primi piani, senza curare la recitazione degli attori, ma la suspense erotica non manca.
La critica. Pino Farinotti (due stelle): “Storiellina
esile confezionata su misura per le gustose esibizioni della protagonista.
Involontariamente umoristico il finale con i coniugi che ritrovano un
equilibrio quando fanno l’amore per procreare e non per esclusivo piacere”. Paolo
Mereghetti (una stella): “Un film erotico rozzo, pieno di comicità non voluta
che cerca di sfruttare il successo di Miranda”.
La signora della notte viene criticato
persino dalla Grandi, forse si rende conto che l’eccesso di attenzione da parte
della macchina da presa finisce per togliere appeal al suo ruolo di maggiorata. A noi non è sembrato tutto da
gettare, perché la tensione erotica è ai massimi livelli.
Per leggere mie recensioni di cinema: http://www.futuro-europa.it/
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giovedì 23 aprile 2015
Il figlio della sepolta viva (1974)
di Luciano Ercoli (André Colbert)
Regia: Luciano Ercoli
(André Colbert). Musiche: Franco Micalizzi. Interpreti: Fred Robsahm, Eva
Czemerys, Gabriella Lepori, Gianni Cavina, Pier Maria Rossi, Piero Lulli, Liliana
Gerace, Anna Fadda, Salvatore Puntillo, Carla Mancini, Vittorio Fanfoni.
Presenti in immagini di repertorio: Agostina Belli, Arturo Trina.
Il figlio della sepolta viva è un sequel
apocrifo di Sepolta viva, pensato
per sfruttare il grande successo di pubblico del film precedente che aveva
inaugurato il minifilone melodrammatico. Il soggetto è estrapolato da un feuilleton di Carolina Invernizio, a
base di lacrime e sangue, mentre Luciano Ercoli prende il posto di Aldo Lado,
sfoggiando un improbabile pseudonimo francese. Il figlio della sepolta viva torna al castello dei Cambise senza
sapere di essere il legittimo erede, per tutti è Francoise (Robsahm),
innamorato perso della bella Elisabetta (Lepori), figlia del conte Amadeus
(Lulli). Il ducato dei Cambise è governato dalla perfida Giovanna (Czemerys), protetta
da un losco figuro detto l’italiano (Rossi) e dalla madre che ha tramato
nell’ombra lo scambio dei piccoli. Per ringraziamento, la figlia ucciderà la
madre, ma dovrà subire la vendetta organizzata dal legittimo erede e dal
buffone di corte. Dany (Cavina) rivelerà lo scambio di neonati, praticato al
convento dalla madre di Giovanna, cosa che costerà diverse vite e atroci
torture, mentre a lui è già costato il taglio della lingua. Alcune sequenze in flashback mostrano immagini del
precedente film con protagonisti Agostina Belli e Arturo Trina. Un escamotage narrativo prevede la morte per
crepacuore della sepolta viva subito
dopo aver appreso che il marito è stato ucciso.
Il figlio della sepolta viva non è certo un lacrima movie, ma un feuilleton avventuroso, più cappa e spada che melodramma, molto truce e sanguinolento, con diversi colpi di scena e alcune sequenze da cinema horror. Gli attori sono inferiori al film capostipite del sottogenere, perché Eva Czemerys non vale Agostina Belli nel ruolo da protagonista, anche se come perfida duchessa se la cava discretamente. Fred Robsahm, marito della sepolta viva nel primo film, qui è il figlio sconosciuto che uccide la malvagia impostora, torna a sedere sul legittimo trono e sposa la bella Elisabetta. Gianni Cavina non dice una parola perché la sceneggiatura prevede che gli venga tagliata la lingua durante le prime sequenze. Diligente il resto del cast.
Luciano Ercoli è un
buon artigiano, usa molto lo zoom e il primissimo piano, ambienta la storia
quasi interamente nel Castello Odescalchi di Bracciano (sede della duchessa di
Cambise) riservando poche scene per il Palazzo Patrizi a Castelgiuliano (dove
vive il conte Amadeus). Ottima la musica di Franco Micalizzi che contribuisce a creare
un’atmosfera da thriller melodrammatico e da cinema avventuroso, con accenni
horror tipici della narrativa d’appendice della Invernizio. Fotografia nitida
in technicolor e montaggio abbastanza serrato. Interessanti le sequenze con
torture e uccisioni, truce un volto sfigurato, intensi i duelli a colpi di
spada e le cavalcate nella foresta, così come è ben ricostruito un processo per
stregoneria e il conseguente rogo. Ercoli illustra a dovere il perverso rapporto
tra la cattiva duchessa e il demoniaco figuro, a base di violenze
carnali, torture e depravazioni. Un agnello scarnificato
nell’acido si spera sia soltanto un trucco di scena, ma non ne siamo certi. Il
finale è un piccolo capolavoro di tensione con una corda che sta per spezzarsi e
potrebbe far precipitare Elisabetta nell’acido. Va da sé che sarà la duchessa a
fare una brutta fine. Lieto fine scontato per un romanzo d’appendice che sa molto
di fumetto, in pratica un fotoromanzo horror - sentimentale, ma che (una volta accettati
i limiti del genere) si guarda ancora con piacere.
Per leggere mie recensioni di cinema: http://www.futuro-europa.it/
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venerdì 17 aprile 2015
Cattivi pensieri (1976)
di Ugo Tognazzi
Il 1976 è l’anno della consacrazione artistica di Edwige Fenech con il salto di qualità nel cinema che conta. Regia di Ugo Tognazzi. Film: Cattivi pensieri. Una pellicola indefinibile, a metà strada
tra l’erotico, il giallo e la commedia che non piace a molti, ma che a nostro parere è un piccolo gioiello. Marco Giusti la definisce “uno dei lavori più disastrosi di
Ugo Tognazzi … di una noia paurosa… ripetitivo come pochi”. Paolo Mereghetti parla di un prodotto “assai curioso e perfino disturbante, ma ingiustamente
bistrattato”. Il soggetto è di Antonio Leonviola, la sceneggiatura dello stesso
Tognazzi, i dialoghi di Enzo Jannacci e
di Beppe Viola (che interpreta il commissario). Cast: Ugo
Tognazzi, Edwige Fenech, Massimo Serato, Luc Merenda, Paolo Bonacelli, Orazio
Orlando, Piero Mazzarella, Veruschka, Mircha Craven, Mara Venier e Ricky
Tognazzi.
Un film erotico
puro piuttosto ben fatto, niente a che vedere con il giallo e con la commedia
sexy, lo abbiamo visto con piacere diverse volte nel corso di questi anni. Per chi vuole apprezzare Edwige Fenech in una delle interpretazioni più
“calde” della sua carriera è un film imperdibile. Nuda così non l’avevano mai
vista e soprattutto in situazioni piuttosto scabrose, quasi sempre immaginate
nel corso di parti oniriche da un Tognazzi che interpreta un marito convinto di essere
cornuto. La Fenech
regge tutto il film con la sua conturbante presenza di moglie stupenda e fedele
che il marito immagina puttana e fedifraga. L’avvocato Mario Marani
(Tognazzi) non parte da Malpensa per colpa della nebbia e quando torna a casa
vede due piedi nudi maschili nell’armadio di casa. Crede che la moglie
nasconda un amante e per vendetta decide di chiuderlo nell’armadio, di
sprangare casa e di partire per una battuta di caccia insieme ad alcuni amici.
Durante la giornata il marito immagina una serie di situazioni
scabrose con protagonista la moglie e i presunti amanti. La Fenech è molto bella,
vestita da borghese elegante, con una mise
sensuale, il viso angelico e provocante. Tra le parti oniriche ricordiamo una
scena molto spinta tra Edwige Fenech e Luc Merenda (donnaiolo venezuelano) che scopano
sopra un tavolo e poi si lanciano sul letto a rallentatore. Un altro rapporto
immaginario mostra la Fenech
insieme a Mircha Carven (attore porno), maestro di sci di Madonna di Campiglio
che come un novello Sandokan delle nevi uccide un orso e poi fa l’amore con lei
pieno di graffi sulla pelle. I sogni di Tognazzi si alternano a scenate di
gelosia e umiliazioni come quando in un albergo di Torino fa sollevare la gonna
alla moglie e dice: “Fammi vedere le cosce. Tirati su la sottana. Quanti te
l’hanno infilato lì dentro?”.
Lei pare disinteressata e reagisce svogliata. Un altro sogno mostra la Fenech nuda in piscina circondata da uomini
con enormi peni eretti finti. Molto eccitante la parte onirica con il socio
di Tognazzi (Orazio Orlando) che insieme alla Fenech osserva due cavalli fare
l’amore. Un richiamo esplicito a La bestia di Walerian Borowczyk (1975),
film erotico che un anno prima aveva fatto scalpore. In ogni caso la parte che più si
ricorda ritrae la Fenech mentre si getta nel fieno e si mette a novanta gradi, “preparandosi
animalescamente” al rapporto. Infine a bordo di un aereo privato di un amico
industriale la Fenech
cita Emmanuelle di Just
Jaeckin (1973) e “la scopatina in volo” di Sylvia Kristel. Subito dopo Tognazzi
immagina un rapporto sessuale tra lei e il fratello (Paolo Bonacelli), noto
playboy.
Interessante pure questa sequenza che vede la Fenech vestita da dark lady con stivaloni a tacco alto e
gonna corta mentre si denuda lentamente e si fa fotografare con disinvoltura
prima un seno e poi le natiche. “Bel puttanone, fammi vedere il tuo seno”, dice Bonacelli arrapato mentre la fotografa. Tognazzi immagina anche la moglie in un rapporto saffico mentre concede un bacio appassionato alla bionda Yanti Somer.
Queste scene sono il punto forte del film, la Fenech ne esce fuori alla
grande interpretando sequenze molto spinte e a tratti quasi surreali.
Ricordiamo Tognazzi nudo che spinge la Fenech priva di veli sopra un carrello domestico con le parti intime sapientemente nascoste
da un gioco di inquadrature. Alla fine il marito scopre di aver chiuso
nell’armadio soltanto il figlio del portiere (Piero Mazzarella), un rivoluzionario
da quattro soldi che era entrato in casa per rubare dei fucili da caccia.
La polizia salva il ragazzo, vivo per miracolo e grazie all’intervento del fratello di
Tognazzi. Un doppio finale ci fa capire che il marito geloso manda avanti da tempo un rapporto con la bella Veruschka. Tognazzi parte in aereo con
l’amante, ma immagina ancora la
Fenech mentre fa l’amore sul prato dello stadio di San Siro a
Milano insieme al figlio del portiere. E pensare che la moglie è
insensibile al sesso, rifiuta la corte del fratello e dice che deve ancora
innamorarsi per poter andare a letto con un uomo.
Possiamo recepire un
velato discorso femminista, mentre il maschio borghese vecchio stampo interpretato da
Tognazzi non ci fa una bella figura. Presenze atipiche del film sono una
giovane Mara Venier e i divi del porno Veruschka e Mircha Carven, non molto utilizzati. Ricordiamo un giovanissimo Ricky Tognazzi aiuto regista e
in una breve apparizione da giovanotto antiborghese. Marco Giusti su Stracult parla di Carmen Russo ma non l’abbiamo vista… pure lui aggiunge un
punto interrogativo.
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giovedì 9 aprile 2015
mercoledì 8 aprile 2015
sabato 4 aprile 2015
Le porno killers (1980)
di Roberto
Mauri
Regia: Roberto Mauri. Soggetto e Sceneggiatura:
Roberto Mauri. Direttore di Produzione: Roberto Tagliavia. Segretaria di
Edizione: Sandra Puglisi. Maestro d’Armi: Gilberto Galimberti. Operatore alla
Macchina: Luigi Conversi. Produzione: Lemar Film Company. Pellicola: Kodak.
Colore: Telecolor. Direttore del Doppiaggio: Lorenzo Artale. Doppiaggio:
Società Doppiaggio Internazionale. Durata: 82’. Genere. Giallo erotico.
Interpreti: Carmen Bizet (Carmen Russo), Mario Cutini, Vassili Karis, Cinzia
Lodetti, Bruno Minniti, Rinaldo DeWitt, Angelo Arquilla, Maurizio Anastasi,
Patrizio Trochei, Manlio Cersosimo.
Roberto Mauri (Castelvetrano, 1924) è lo pseudonimo
del regista, attore e sceneggiatore trapanese Giuseppe Tagliavia, noto solo
agli amanti del cinema bis per aver diretto una serie di non capolavori, un po’ come i non
compleanni del Bianconiglio di Alice
nel paese delle meraviglie. Recita nel cinema degli anni Cinquanta, volto
fiero da melodramma di Matarazzo e Callegari, partecipando a pochi film dal
1944 al 1957. Debutta alla regia nel 1958, “firmando almeno venticinque
pellicole, tutte di genere e tutte di non grande interesse” (Roberto Poppi, I Registi Italiani). Tra queste citiamo
l’esordio con Vite perdute - la legge
del mitra (1958), regia insieme a Bianchi, anche interprete, passando
all’horror La strage dei vampiri
(1962), al peplum Gli invincibili fratelli Maciste
(1964), al western - con lo pseudonimo di Robert Johnson - con un Sartana
apocrifo e alcune pellicole dedicate alla saga di Spirito Santo, per finire con
la commedia erotica (Un toro da monta,
1976) e il thriller erotico (Le porno
killers, 1980).
Le porno
killers è il suo ultimo (perdibile)
film, sceneggiato e persino prodotto, girato in pellicola con una fotografia
sciatta e anonima, montato con tempi dilatati e scritto così male da rasentare
l’insulto all’arte della sceneggiatura. Frase di lancio che è tutta un
programma: Le porno killers… Attaccavano
a colpi di… Si difendevano a colpi di…Le
porno killers (1980) è un film discusso nella carriera di Carmen Russo, che
per l’occasione si fa chiamare Carmen Bizet. “Io me lo immaginavo come sarebbe
andata a finire e volevo tutelarmi con uno pseudonimo”, confessa Carmen a
Gomarasca e Pulici che la intervistano per 99 Donne.
La bella attrice ligure afferma
che in fase di montaggio la produzione aggiunse scene hard, secondo una
consuetudine del periodo. In pratica quello che doveva essere un semplice film erotico
fu trasformato in un porno utilizzando controfigure e girando parti aggiuntive.
Abbiamo visto la pellicola soft, ma dobbiamo dire che Carmen Russo recita quasi
sempre nuda accanto a Cinzia Lodetti, due affascinanti quanto spietate killer incaricate
di eliminare un gangster da un’organizzazione tedesca. La trama thriller, quasi
una spy story, è solo una scusa per mettere
in scena diverse situazioni erotiche. Ricordiamo la Russo impegnata in una
grande scena lesbo con la Lodetti, prima sul letto e poi in un vano doccia di
dimensioni ristrette, ma anche in rapporti etero molto credibili con Cersosimo
e Minniti.
Pare che grazie a questo film Manlio Cersosimo scoprì di essere
portato per il cinema hard a causa di un’erezione notevole davanti alla bella
Carmen. Fu così che due settimane dopo partì per Santo Domingo dove girò i
primi storici hard sotto la guida di Aristide Massaccesi. Tutte cose che
riferisce l’attore in una serie di storiche
interviste, l’ultima delle quali televisiva, da Marco Giusti, conduttore di Stracult.
Secondo Carmen Russo il film
doveva intitolarsi Le deliziose killer, ma quando uscì fu ribattezzato
dalla produzione con un titolo più volgare dopo averlo gonfiato con scene hard
girate con altre attrici. Bruno Minniti, partner erotico della Russo, ricorda
di aver girato solo una scena molto casta nella doccia e confessa: “Si vedeva
il mio volto e poi il pisellone di qualcun altro che entrava in azione.
Ovviamente noi attori non ne sapevamo niente e so che Carmen inoltrò anche una
causa”. Carmen non ricorda Le porno killers, dice di aver rimosso il
film nella maniera più assoluta, come una brutta esperienza giovanile,
soprattutto non rammenta l’erezione improvvisa di Manlio Cersosimo. Il film si
vede solo per la curiosità di sbirciare situazioni erotiche ai limiti dell’hard
che vedono impegnate le due belle attrici, soprattutto un rapporto a tre molto credibile.
Non altro, davvero. La musica è pessima, comincia come una partitura sintetica
da thriller e si trasforma in una pessima sonorità romantica nei momenti di sesso
sfrenato.
La morale del film pare essere che le due donne trattano gli uomini
come oggetti, li usano per scopare e poi se ne liberano, ma stanno bene anche
da sole, forse meglio. Due donne che hanno preso il posto degli uomini, in
definitiva, in un malinteso femminismo d’accatto. Da un punto di vista
fotografico il regista immortala luoghi storici di Roma come via Veneto - la Russo
cita persino Fellini e La dolce vita
- e Piazza Navona, ma anche le campagne laziali; vediamo un bagno nature di Russo e Lodetti presso le famose
cascate del fiume Treja di Monte Gelato, nel comune di Mazzano Romano, luogo
storico del cinema bis.
Tutto è molto
sciatto, girato in maniera dilettantesca con la macchina a mano, con immagini
che sembrano rubate, tra lunghe passeggiate, improbabili scazzottate e dialoghi
risibili. Ci dobbiamo sorbire persino una filippica femminista con le due porno killers impegnate a mettere in
ridicolo uomini che fanno discorsi assurdi sul ruolo della donna. Da ricordare
Lorenzo Artale, il direttore del doppiaggio, forse la persona professionalmente
più impegnata a dare una voce a un gruppo di attori che non sarebbe mai
riuscito a recitare una battuta credibile. Sembra che la versione con inserti
hard sia intitolata Le Porno Salamandre,
nella quale le due attrici sono sostituite da controfigure per le scene
esplicite.
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giovedì 2 aprile 2015
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