di Ettore Scola
Regia: Ettore Scola. Soggetto e Sceneggiatura: Age (Agenore Incrocci), Furio Scarpelli, Ettore Scola. Fotografia: Claudio Cirillo. Montaggio: Franco Arcalli. Musiche: Armando Trovajoli. Scenografia: Gianni Polidori. Costumi: Bruna Parmesan. Trucco: Giulia Natalucci, Maria Teresa Corridoni. Aiuto Regista. Giorgio Scotton. Operatori alla macchina. Sergio Salvati e Enrico Umestelli. Produttore: Gianni Hecht Lucari per Documento Film. Produttore Esecutivo: Fausto Saraceni. Distribuzione: Titanus. Durata: 130’ . Colore. Interpreti: Alberto Sordi, Bernard Blier (doppiato in marchigiano da Max Turilli), Giuliana Loyodice, Erica Blanc, Franca Bettoia, Manuel Zarzo, José Maria Mendoza, Ivo Sebastianelli, Nino Manfredi, Roberto De Simone, Francesca Romana Coluzzi.
Sordi e Manfredi
Gianni Canova sostiene che “Riusciranno i nostri eroi rappresenta una nuova tappa per la costruzione del personaggio di Sordi, un italiano medio, conformista e pieno di difetti, ma che il finale ambiguo, invita a ripensare alla nostra realtà”. Non concordiamo in toto, anche se tale impostazione critica contiene elementi condivisibili. Il personaggio di Sordi sotto la guida di Scola è più avventuroso e meno meschino del solito, si fa tentare dalla possibilità di cambiare vita in modo radicale, anche se alla fine opta per calcare strade conosciute.
Ivo Sebastianelli stona Amore scusami
Age, Scarpelli e Scola realizzano una commedia all’italiana, on the road, esotica, girata in un’Angola ancora selvaggia, al tempo colonia portoghese, ispirandosi alla sceneggiatura del fumetto Disney Topolino e il Pippotarzan (1958) di Romano Scarpa. Sordi è l’editore romano Di Salvo, Blier è un succube segretario marchigiano, il cognato scomparso in Africa è Nino Manfredi, Zarzo è un portoghese imbroglione ma simpatico, Sebastanelli, un camionista canterino, occasionalmente attore. Francesca Romana Coluzzi si intravede per una breve sequenza, ma il cast femminile è integrato da tre presenze come Loyodice, Bettoia e Blanc, poco influenti nell’economia della storia. Scola vorrebbe protagonista Manfredi, ma l’attore ha preso altri impegni e non ha tempo da dedicare al film. Il regista decide per un’inversione di ruoli e Sordi si cala nella parte dell’editore che parte da Roma alla ricerca del cognato in fuga dalla civiltà. La trama è semplice. L’editore Di Salvo (Sordi) e il segretario (Blier) si recano in Africa per ritrovare il cognato Titino (Manfredi), che da due anni non dà notizie e ha lasciato la moglie nella più assoluta disperazione.
Alberto Sordi vestito da ridicolo coloniale
Per l’editore il viaggio rappresenta una fuga dalla realtà quotidiana, dalle serate inutili e vuote della famiglia borghese, da una vita piena di sterili impegni, è un percorso alla ricerca di se stesso. Stupenda la fotografia africana, ricca di inserti stile mondo movie (fotografia diversa): rinoceronti che caricano camion, leoni, zebre, gnu, gazzelle, branchi di uccelli in volo, ma apprezziamo pure suggestivi tramonti e spazi interminabili ripresi in diretta. Il baobab troneggia in un panorama di deserto e savana, pianta immensa simbolo di vita. Sordi dà vita a un personaggio in fuga da frustrazioni e monotonia, affascinato dalla vita naturale, un uomo che “cerca se stesso, perché la verità è contraddittoria”. Alcune frasi decise in sceneggiatura, come “il benessere distrugge l’individuo più del bisogno” e “i lavoratori sono diventati dei conservatori”, sono di una stringente attualità. L’editore contrae il mal d’Africa, s’innamora della gente, dei sapori, dei luoghi, vorrebbe vivere un’avventura con una ragazza del posto, nel finale è indeciso se restare o partire. Il personaggio interpretato da Sordi non è del tutto negativo, è un uomo animato da sentimenti antirazzisti, difende i neri sfruttati da due colonizzatori portoghesi, si batte per loro, conquista la simpatia del segretario, pure se rischia di essere preso a botte. Paga uno per uno tutti i danneggiati di un villaggio quando dopo un incidente distrugge un mercato e ammazza diversi animali.
Versione francese
Il cognato ha fatto perdere le sue tracce, ma nel frattempo ne ha combinate di tutti i colori, facendosi passare per prete, truffando un mercenario francese e finendo per vestire i panni dello stregone in una tribù angolana. Erika Blanc è perfetta nel ruolo della donna pazza, sconvolta dall’amore, truffata dall’italiano che si è finto morto e ha fatto seppellire il suo violino. Il finale è aperto, perché il cognato in un primo tempo decide di partire e di tornare alla civiltà, ma quando vede l’intero villaggio sulla spiaggia incitarlo a restare, si tuffa e raggiunge quella che considera la sua nuova vita. L’editore resta a metà strada, indeciso, ripensa come un flashback a tutto il viaggio, ma non ha il coraggio di buttarsi e affrontare l’ignoto, l’incertezza del cambiamento. “Ma che fa, si butta anche lei?”, chiede il segretario. “Non lo so. Non ho le idee chiare”, risponde l’editore. Il destino della borghesia, pare dire Scola, è quello di non avere la forza di cambiare, ma di continuare a vivere secondo convenzioni, in una situazione di raggiunto benessere che produce stress e frustrazione.
Bernard Blier, maschera allucinata
La musica di Trovajoli è eccellente, composta da sonorità africane, tamburi in sottofondo, sottolinea il viaggio dei due uomini alla scoperta dell’ignoto, soli in mezzo alla giungla e al deserto angolano, prima di ritrovare il parente scomparso.
La scena simbolo del film: le convenzioni borghesi
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (due stelle e mezzo): “Il film è una divertita presa in giro della provinciale e odiosa arroganza dell’italiano arricchito nel terzo mondo”. Non condivido tale impostazione, perché Sordi non incarna l’italiano arrogante, in una sequenza si schiera persino come difensore degli indigeni contro i colonialisti portoghesi. Tutt’altro. Sordi è l’italiano annoiato dalla civiltà che si innamora dell’Africa al punto che vorrebbe restarci a vivere per sempre. Morando Morandini (due stelle e mezzo di critica, cinque di pubblico). “La commedia ha per bersaglio il provincialismo arrogante dell’italiano danaroso nel Terzo Mondo, ma i suoi intenti sono più comici che satirici. La ricchezza delle trovate buffe, la bravura degli interpreti (Blier e Manfredi più di Sordi), l’innocuità di fondo, spiegano il grande successo del film, pur inferiore a quello ottenuto da Sordi nello stesso anno con Il medico della mutua”. Tre stelle per Pino Farinotti, senza motivare la sintetica scelta.
I flani giocano sull'equivoco...
Il film è campione d’incassi al botteghino, due miliardi con il biglietti a cinquecento lire non è poca cosa. Mi permetto di aggiungere che la critica alta non comprende il senso profondo del film, perché il bersaglio di Scola è la borghesia annoiata, incapace di rinnovarsi e di cambiare vita, non il provincialismo arrogante degli arricchiti nel Terzo Mondo. Sordi rappresenta il piccolo borghese consapevole di sprecare un’esistenza nei riti monotoni dell’apparire, sa che la vera vita sarebbe in un altro mondo, a contatto con la natura, ma non ha la forza per dare una sterzata decisa alla sua esistenza. Il personaggio di Manfredi, invece, rappresenta il coraggio, la forza di cambiare. Un piccolo successo commerciale che meriterebbe una maggior attenzione e rivalutazione critica.
La simbolica scena finale:
Gordiano Lupi
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