Damiano Damiani (1922 - 2013) è un ottimo regista impegnato, che nasce documentarista, gira lungometraggi di atmosfera giallo - poliziesca, realizza il capolavoro L’isola di Arturo (1962), ma anche opere interessanti come La noia (1963), La rimpatriata (1963) e l’indimenticabile Il giorno della civetta (1968). Quien sabe? (1967) lo consegna alla storia del western all’italiana (pure se lui non amava questa definizione), La Piovra (1984) rappresenta la consacrazione nella fiction televisiva e La moglie più bella (1970) lo vede lanciare una giovanissima Ornella Muti.
Ai nostri fini è interessante un horror gotico girato in un gelido bianco e nero come La strega in amore (1966), che vede nel cast Richard Johnson, Sarah Ferrati, Rosanna Schiaffino, Gian Maria Volonté e Ivan Rassimov. Johnson è uno scrittore che deve sistemare l’archivio di una vedova (Ferrati) che vive in un grande palazzo romano insieme alla bella e seducente nipote (Schiaffino). La trama prende le mosse dalla seduzione della bella nipote nei confronti dello scrittore che si fa convincere a uccidere il vecchio bibliotecario (Volonté). Il regista allude al soprannaturale e al tempo stesso lo nega, girato in un bianco e nero deciso che ricorda i fumetti horror, molto ambiguo e pervaso di un malsano erotismo. La strega in amore è sceneggiato da Damiani con la collaborazione di Ugo Liberatore, ma la storia è tratta dal romanzo Aura di Carlos Fuentes e avvicina il gotico italiano al cinema europeo. Un ottimo film che tratta il tema del doppio e della seduzione diabolica con cura formale (fotografia di Leonida Barboni e scenografie di Luigi Scaccianoce e Dante Ferretti) e ottima colonna sonora di Luis Bacalov.
Amityville possession (1982) è il secondo e ultimo horror girato da Damiano Damiani, che non ha niente a che vedere con il gotico, ma ne parliamo in maniera residuale. Si tratta del prequel di Amityville Horror (1979) di Stuart Rosemberg, fortemente voluto dalla produzione Dino De Laurentiis. Si parla di una casa costruita sopra un vecchio cimitero indiano e quindi infestata da presenze demoniache, che si palesano attraverso le cuffie di un walkman, prendono possesso di un ragazzo e lo spingono a compiere una strage familiare. Un prete è chiamato a risolvere il caso, secondo le convenzioni dell’horror esorcistico che Damiani si sforza di limitare al massimo. Il film presenta una sua originalità, ma sfrutta le suggestioni di opere come La casa (1982) di Sam Raimi, L’esorcista (1972) di William Friedkin e persino Shining (1980) di Stanley Kubrick. Ottime le soggettive inquietanti della presenza malefica con tanto di rantoli e sospiri, ma soprattutto è ben riprodotto il crescendo di terrore in cui viene coinvolta una famiglia di Amityville. La suspense è notevole per tutta la prima parte, così come sono buoni gli effetti speciali della possessione e la caratterizzazione malefica del ragazzo indemoniato. Damiani inserisce sequenze di torbido erotismo incestuoso tra fratelli e trasforma il ragazzo in un mostruoso assassino dall’aspetto deforme e gli occhi iniettati di sangue. Le sequenze della strage sono molto forti e disturbanti, soprattutto gli omicidi dei bambini, che per fortuna non vengono mostrati in diretta. La parte finale vede lo scatenarsi delle forze del male esorcizzate dal prete in un tripudio di sangue ed esplosioni infernali. Da manuale la sequenza che immortala un volto crepato che si apre come un bozzolo e libera il demone malefico. Adesso il ragazzo è in salvo, ma lo spirito del male può impadronirsi di nuove vittime. La sceneggiatura è di Tommy Lee Wallace, tratta da un romanzo di Hans Holzer. L’horror demoniaco non è un argomento tipico di Damiani, che in ogni caso se la cava egregiamente, confezionando un film ricco di colpi di scena e buoni effetti speciali.
Tratto da:
Storia del Cinema Horror Italiano
Vol. 1 - Il Gotico
Edizioni Il Foglio, 2012
Gordiano Lupi
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