di Camillo Mastrocinque
Regia: Camillo Mastrocinque. Soggdetto e Sceneggiatura: Age & Scarpelli (Agenore Incrocci e Furio Scarpelli). Fotografia: Mario Fioretti. Montaggio: Gisa Radicchi Levi. Musiche: Alessandro Cicognini. Scenografia: Alberto Boccianti. Costumi: Giuliano Papi. Stabilimenti: Elios. Produttore: Isidoro Broggi. Casa di Produzione: DDL (Roma). Interpreti:Totò, Peppino De Filippo, Giacomo Furia, Gabriele Tinti, Giulia Rubini, Nando Bruno, Luigi Pavese, Memmo Carotenuto, Gildo Bocci, Lauro Gazzolo, Salvo Libassi, Anita Ciarli, Yoka Berretty, Mario Meniconi, Guido Martufi. Franco Pastorino doppia Gabriele Tinti. Colore: Bianco e Nero. Genere: Commedia. Durata: 101’ .
Camillo Mastrocinque (1901 - 1969) è uno dei migliori registi dei film di Totò, soprattutto perché si avvale di rigorose sceneggiature, confeziona commedie di spessore, imbrigliando la mimica del grande attore comico in una rigida struttura narrativa. Nasce architetto, studia in Francia come scenografo teatrale, in Italia confeziona opere in costume negli anni Trenta, nel dopoguerra si dedica alla commedia, sua vera vocazione, e collabora molto con Totò. Antonio Canova sostiene che Camillo Mastrocinque lascia libero Totò di “andare a braccio” e che si limita a “governarlo”. Non siamo d’accordo, perché le sceneggiature di Mastrocinque prevedono il rispetto di un copione, nel quale la genialità dell’attore napoletano viene lasciata libera di esplicarsi. Basta ricordare i capolavori: Siamo uomini o caporali? (1955), Totò, Peppino e la… malafemmina (1956), La banda degli onesti (1956), Totò, Peppino e i fuorilegge (1956), Tototruffa ’62 (il bidone della vendita della Fontana di Trevi ha fatto storia). Nel volume 1 della nostra Storia del Cinema Horror Italiano – Il Gotico, ricordiamo Camillo Mastrocinque autore di due film gotici, girati nel finale di carriera: La cripta e l’incubo (1964) e Un angelo per Satana (1966). Ultimo lavoro una serie di tre telefilm: La più bella coppia del mondo; Stasera Fernandel (1968).
Camillo Mastrocinque gira La banda degli onesti nel gennaio 1956 e conferisce spessore comico alla coppia Totò - Peppino De De Filippo, inserendo una variabile di ingenuità rappresentata da Giacomo Furia. Il terzetto di onesti che cercano di darsi al crimine, fabbricando biglietti da diecimila lire è portatore di una comicità irresistibile. Mastrocinque fa cinema - teatro con molti duetti tra Totò e Peppino a base di dialoghi, spesso surreali come la continua storpiatura del cognome dell’amico da parte di Totò. Lo Turco diventa Lo Sturzo, Turchetti, Gianturco, Lo Turzo, Lo Struzzo, nomignoli e gag del cognome sbagliato che saranno ripresi in altri film. La trama è abbastanza semplice.
Totò è Antonio Bonocore (nome che tornerà in Totò Diabolicus - 1962), portiere di uno stabile romano che sta per essere licenziato dal ragionier Casoria (Pavese) a vantaggio di un burino come Fernando (Carotenuto). Per questo motivo quando in punto di morte il condomino Andrea (Gazzolo) gli rivela che possiede il cliché e la carta per fabbricare biglietti di banca, decide di approfittarne. Si unisce al tipografo Lo Turco (De Filippo), pure lui nei guai per alcune cambiali da pagare e all’imbianchino Cardone (Furia), e nottetempo stampano biglietti da diecimila. Il problema è che non hanno il coraggio di spacciarli perché sono troppo onesti. Il solo biglietto di banca che Totò si fa cambiare in una tabaccheria è falso, però non stampato da lui ma da una banda di professionisti che glielo aveva affibbiato. Michele (Tinti), il figlio di Totò - guarda caso - è un finanziere sulle tracce dei veri falsari, che finisce per scoprire proprio mentre il padre stava per costituirsi. Tutto finisce bene con la banda degli onesti intenta a fare un falò di denaro falso e cliché per stamparlo. Si rendono conto che il crimine non fa per loro.
Una commedia senza punti deboli, girata con garbo e ironia, sorretta da una storia credibile, leggermente datata solo nella storia d’amore (ininfluente) tra Marcella (Rubini), figlia di Lo Turco, e Michele (Tinti), figlio di Bonocore. Tutto il resto è moderno, ricco di citazioni al cinema del passato, come nella sequenza in cui il terzetto stampa biglietti falsi. Il regista improvvisa una fast-motion - pare su idea di Totò - e sembra di assistere a una comica del periodo muto.
Gli interpreti sono eccellenti. Totò presta volto e mimica a un portiere onesto che non accetta compromessi e quando decide di passare dalla parte dei truffatori scopre di non essere capace. Pure la caratterizzazione fisica, con la gamba morta, definisce a dovere il personaggio. Peppino De Filippo è straordinario come napoletano indeciso, lavoratore, preoccupato delle conseguenze di un gesto che non ha mai compiuto. Giacomo Furia è la componente più debole del terzetto ma la sua presenza è meno rilevante e si limita a un ruolo di contorno. Luigi Pavese è l’amministratore del condominio, il ragionier Casoria (il nome fornisce lo spunto per alcune battute sui paesi della Campania), che rappresenta il male, la truffa, il crimine. “Dobbiamo passare dalla parte del ragionier Casoria!” afferma Totò. Memmo Carotenuto interpreta una breve scena da borgataro romano che vuol prendere il posto di Totò, ma la sua presenza è incisiva. Irriconoscibile un giovanissimo Gabriele Tinti, futuro marito di Laura Gemser, al tempo bello da fotoromanzi, doppiato da Franco Pastorino. Bella ed espressiva Giulia Rubini, peccato abbia un ruolo decorativo.
Molti spunti satirici interessanti. Totò spiega il capitalismo al bar ricorrendo a due tazzine di caffè e una zuccheriera, si finge bigotto e prega in ginocchio per nascondere i soldi falsi, Peppino copre il denaro falso come fossero volantini da nostalgico fascista e afferma che quando c’era lui i treni arrivavano in orario. Tanti i calembour verbali e le deformazioni linguistiche tipiche di Totò (riprese da Franco Franchi): la pietra emiliana, invece della pietra miliare; “Ho appena mangiato, non mi metto un falò sullo stomaco…”; “”E chi lo falà, e chi lo falò, dove si farà?”. Gag finale: preso dalla foga, Totò getta tra le fiamme il suo stipendio.
La banda degli onesti anticipa le tematiche de I soliti ignoti, ma non è ancora commedia all’italiana, i problemi sociali si intuiscono soltanto, quel che conta è la commedia, il lato divertente della storia. Il terrazzo della casa dove vive Totò è lo stesso che verrà utilizzato per dare lezioni di criminalità alla banda di approssimativi scassinatori del film di Monicelli.
Il film ha un successo di pubblico così grande (338.846.00 lire di incasso per 2.603.938 spettatori, secondo totowebsite.altervista.org). Distribuito anche in Portogallo (Totò eas Notas Falsas) e in Germania Ovest (Die bande der Ehrlichen). Ridistribuito in Italia come Totò falsario.
Pino Farinotti concede quattro stelle, senza motivare. Morando Morandini scende a due e mezzo (tre di pubblico): “Scritto da Age & Scarpelli, è uno dei migliori film di Totò in coppia con Peppino De Filippo”. Fin qui concordiamo, ma poi l’illustre critico aggiunge: “Come al solito la regia di Mastrocinque è sommaria e trafelata”. Noi abbiamo visto una regia accorta e una solida conduzione di attori. Al tempo stesso la sceneggiatura di Age & Scarpelli non presenta punti morti e anticipa la nascita della commedia all’italiana.
Paolo Mereghetti conferma due stelle e mezzo: “La sceneggiatura di Age e Scarpelli sembra quasi una prova generale de I soliti ignoti (1958): un’elegia dei poveracci, che cercano di arrangiarsi ma non riescono neanche a essere disonesti. Con meno verve e più timidezza, certo; ma il gioco corale dei tre protagonisti funziona, e non mancano spunti di satira…”. La banda degli onesti è un classico tra i film di Totò, l’apprezzamento del pubblico è costante nel tempo, tanto che si può fare a meno di avere una critica concorde.
Per vedere alcune sequenze:
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