Il capolavoro di Fernando di Leo
Il mio libro su Fernando di Leo dal quale è tratto questo capitolo
Profondo Rosso (Roma, 2009)
Fernando di Leo consegna i suoi capolavori al cinema italiano con la trilogia noir ispirata ai racconti di Scerbanenco, dove porta alle estreme conseguenze la sua poetica realistica e racconta per immagini il lato oscuro della società. La Trilogia della Mala ottiene un grande successo al botteghino, rappresenta un’importante fonte di ispirazione per Tarantino e i nuovi autori del cinema pulp statunitense. Milano calibro 9 (1972) è il primo film del ciclo, seguito dagli altrettanto validi La mala ordina (1972) e Il boss (1973).
Milano calibro 9 (1972) è sceneggiato da di Leo su soggetto tratto dai racconti di Scerbanenco, la fotografia è del fedele Franco Villa e il montaggio di Amedeo Giomini. Le scenografie e i costumi sono di Francesco Cuppini. Aiuto regista è l’immancabile Franco Lo Cascio. Il commento musicale è dell’ottimo Luis Enriquez Bacalov che compone una colonna sonora indimenticabile eseguita dai New Trolls e dagli Osanna. Produce Armando Novelli per Daunia 70. Interpreti: Gastone Moschin, Barbara Bouchet, Mario Adorf, Lionel Stander, Philippe Leroy, Frank Wolff, Ivo Garrani, Mario Novelli e Luigi Pistilli.
Il film è fedele alle atmosfere nere e opprimenti dei racconti di Scerbanenco, ma non è una pellicola tratta dalle raccolte Milano calibro 9 e da I Centodelitti come si vorrebbe far credere. Di Leo legge Scerbanenco e ne assorbe l’ambientazione tra i navigli e le strade di Milano, racconta come lui storie di piccoli malviventi senza futuro, di puttane, di tradimenti, violenza e inganni nel mondo della malavita. Alcune scene erotiche tra la Bouchet e Moschin, un ballo sensuale nel night, completano una notevole trama poliziesca ricca di suspense.
Barbara Bouchet nella famosa scena del ballo
Due uomini e una donna sono sospettati di aver fatto sparire trecentomila dollari e per questo motivo vengono torturati e fatti saltare in aria da alcuni malavitosi. Ugo Piazza (Moschin) esce di galera e la polizia lo sorveglia perché è sospettato anche lui di essersi appropriato dei soldi. Rocco (Adorf), braccio destro del boss che si fa chiamare L’Americano (Stander), trova Ugo e lo fa picchiare a sangue. Ugo chiede protezione al vecchio boss Don Vincenzo (Garrani) e al suo braccio destro Chino (Leroy), ma accetta di lavorare per conto dell’Americano. Nel frattempo frequenta Nellie (Bouchet), una vecchia fiamma che ritrova nel night dove lavora. Si verifica un conflitto a fuoco durante un agguato teso a Don Vincenzo, Ugo si rifiuta di sparare ma il vecchio boss rimane ucciso. Nel frattempo spariscono altri trentamila dollari, sottratti all’Americano. Chino si vendica, con l’aiuto di Ugo ammazza L’Americano e parecchi suoi uomini, ma alla fine viene ucciso anche lui. Ugo si riprende i trecentomila dollari che aveva davvero fatto sparire ed erano nascosti in una casa diroccata. Il finale è a sorpresa, perché si scopre che Nellie faceva il doppio gioco ed era d’accordo con il suo amante Luca (che si era impadronito dei trenta milioni) per uccidere Ugo e prendersi i soldi. Non è finita. Ugo viene ucciso da Luca, ma prima di morire uccide Nellie con un pugno e alla fine Rocco ammazza di botte Luca. La polizia conclude la faida arrestando il malavitoso superstite.
Barbara Bouchet e Gastone Moschin
Di Leo scrive Milano calibro 9 elaborando una trama autonoma ispirata dalla lettura di Stazione centrale ammazzare subito, uno dei racconti della raccolta dello scrittore di Kiev. Se si vuole, il film risente di altre ispirazioni che derivano da Vietato essere felici e La vendetta è il miglior perdono. Tutto qui. Di Leo è autore in senso stretto, originale e autonomo da ogni tipo di influenza narrativa, per questo legge Scerbanenco, ma dopo lo rielabora e tira fuori un suo prodotto. Il debito con lo scrittore ucraino è soprattutto di atmosfera e di argomenti, perché entrambi raccontano storie di piccola criminalità ambientate a Milano. Di Leo compie un’operazione difficile ma perfettamente riuscita come quella di trasportare le atmosfere violente del western nel noir metropolitano.
Lionel Stander e Mario Adorf
La cosa migliore del film è una perfetta ambientazione milanese, tra Piazza del Duomo, navigli, notturni suggestivi e risvegli nebbiosi in una città grigia e fredda. La fotografia di Villa immortala una Milano by night cupa e viziosa, nelle mani di una malavita sempre meno romantica che sta cambiando. Il commento musicale di Bacalov è pregevole e sottolinea i momenti topici della pellicola realizzando un crescendo di tensione. Le scene girate in interni sono molte, la teatralità è una caratteristica dei lavori del regista pugliese che utilizza gli studi della Dear Film per le scene con dialoghi non sempre convincenti. Tra questi segnalo la ripetitività di contenuti quando discutono il commissario capo (Frank Wolff) e il vice commissario (Luigi Pistilli) che impersonano in modo troppo schematico un poliziotto all’antica e uno moderno e democratico. I due attori danno vita alla parte peggiore della pellicola, rallentata in modo fastidioso da un dibattito stereotipato e improbabile tra due tutori dell’ordine. La sottotrama termina con Pistilli trasferito in Basilicata per scontare i troppi discorsi progressisti che non stanno bene a un superiore di destra. Il regista poteva risparmiarci affermazioni apodittiche di opposto tenore come: “I ricchi non danno fastidi!” “Ci sono ricchi e ricchi!” “La proprietà è un furto!” “Siamo sempre stati al servizio dei ricchi!” “I ricchi hanno sempre ragione!” “La polizia lotta contro gli studenti e contro gli operai!” “Lei è un poliziotto vecchio. I delinquenti sono un effetto, non una causa” “Non ci sarebbe la delinquenza meridionale se i meridionali non facessero lavori mal pagati che non vuol fare nessuno” “Delinquenti si nasce non si diventa” e via di questo passo con dialoghi che fanno sorridere e risultano datati.
Philippe Leroy
Le scene di violenza efferata la fanno da padrone e vedono protagonista soprattutto Mario Adorf, killer al servizio di un boss che agisce dietro le quinte. Tra gli attori spicca un grande Gastone Moschin, perfetto come Ugo Piazza, un duro destinato alla disfatta, un uomo del nord, freddo, calcolatore e imprevedibile. Mario Adorf è altrettanto bravo ed è il suo opposto meridionale, un uomo forte, violento, brutale (doppiato da Stefano Satta Flores), forse il vero protagonista del film. Barbara Bouchet è una stupenda ballerina di night che in una scena memorabile danza coperta soltanto da un vestito di perle. La scena del ballo sensuale nel night illuminato solo da soffuse luci rosse è costruita ricorrendo a numerosi primi piani, riprese dal basso, dissolvenze, inquadrature laterali, giochi di macchina e di montaggio. Forse è un po’ troppo lunga, ma l’esibizione di una bellezza genuina e florida come quella di Barbara Bouchet lo meritava. Di Leo ricostruisce l’abitazione della ballerina secondo la moda più attuale degli anni Settanta, facendo sfoggio di cuscini e modernissime colorazioni a scacchi bianco e nere. La parte romantica vede la Bouchet e Moschin ripresi in un abbraccio lungo e appassionato che termina con un bacio credibile ed è sottolineata dalla musica intensa dell’ottimo Bacalov. Il rapporto sessuale che segue è sfumato, lo spettatore può soltanto intuire e deve accontentarsi del ricordo di un vestito di perle dal quale traspariscono le grazie della bionda Bouchet. La sua interpretazione da cattiva ragazza è talmente convincente che di Leo la chiamerà per fare la dark lady nel successivo Diamanti sporchi di sangue (1977). In quel film, Pier Paolo Capponi rivestirà un ruolo molto simile a quello ricoperto da Adorf in Milano calibro 9, inventandosi una maschera da efferato killer siciliano.
Molto ben calati nella parte sono anche Philippe Leroy, Ivo Garrani (il vecchio boss cieco), Lionel Stander e Luigi Pistilli. Philippe Leroy è il killer Chino, un uomo d’onore che non vorrebbe immischiarsi ma che alla fine si trova coinvolto per difendere l’amico Ugo dall’arroganza di Rocco e per vendicare l’omicidio del vecchio boss. La scena di azione che si svolge nella piscina dell’Americano lo vede protagonista di una micidiale sparatoria che provoca lo sterminio dell’intera banda. “Ci sei riuscito a farmi ammazzare L’Americano” mormora tra le braccia di Ugo prima di morire. Si salva soltanto Rocco e sarà lui a vendicare la morte di Ugo Piazza, un vero dritto che si è conquistato il suo rispetto dopo aver organizzato un colpo così efficace.
Ivo Garrani è convincente come mafioso d’altri tempi che prova nostalgia per la vera mafia, una criminalità scomparsa, perché i delinquenti odierni sono privi del senso dell’onore. La parte finale della pellicola segue i canoni del cinema noir cari al regista pugliese, dove niente è come sembra e soprattutto non esistono personaggi positivi e conclusioni consolatorie. Nellie è una dark lady con un giovane mante e non esita a uccidere Piazza per denaro, ma muore anche lei stesa da un violento pugno che l’uomo le sferra prima di cadere al suolo. Rocco completa l’opera ammazzando di botte Luca, il compagno di Nellie, reo di aver ucciso senza onore un uomo come Ugo che meritava rispetto. “Tu quando vedi uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare! Tu non lo uccidi così un uomo come Ugo Piazza!” grida Rocco mentre sbatte più volte la testa del ragazzo su un tavolo e lo uccide. Un primo piano sulla sigaretta di Ugo lasciata sul tavolo che finisce di bruciare segna la fine di una pellicola intensa e ricca di suspense. Alcuni anni dopo di Leo scriverà un romanzo tratto da questo film: Da lunedì a lunedì, l’arco di tempo in cui si svolgono le gesta di Ugo Piazza che va incontro al suo destino.
Paolo Mereghetti ritiene Milano calibro 9 uno dei migliori film girati da di Leo, perché il disegno dei personaggi, il clima di sospetto e di guerriglia psicologica e l’amarezza di fondo guardano al miglior noir europeo (a partire da Melville), mentre la brutalità sbrigativa (per cui alcuni critici hanno parlato del modello di Don Siegel) anticipa quella del poliziottesco che sarebbe esploso poco dopo. Per Mereghetti, di Leo fa cinema di genere maturo, anche se non è molto convinto dai tentativi di dare spessore politico alla vicenda, soprattutto per la figura del poliziotto in rotta con i superiori (Pistilli) perché troppo democratico. Nocturno Cinema definisce il film un capolavoro, senza mezzi termini. Tullio Kezich è molto più tiepido e parla di apprezzabile piglio professionale da parte del regista. Marco Giusti su Stracult giudica Milano calibro 9 una pellicola fredda, feroce ed estremamente realistica. Per il Morandini la pellicola è degna di due stelle e mezza per il modo in cui sviluppa una storia di azione violenta con risvolti di critica e denuncia sociale.
Fernando di Leo rilascia un intervista a Nocturno Cinema: “Moschin aveva fatto solo film comici. Adorf me lo inventai. Leroy aderì subito al personaggio e la Bouchet ebbe l’ambiguità necessaria… lavorammo bene fin da quando mi innamorai del titolo e acquistai il romanzo… ma di Scerbanenco c’è poco, qualche spunto; scrissi io tutto il plot, i dialoghi, le psicologie, l’ambientazione”. Per il regista Stelvio Massi questo film è il capostipite di tutto il filone del poliziesco all’italiana.
Il film è stato passato su CULT in data 16 settembre 2011, ma per vedere alcune sequenze potete consultare Youtoube: http://www.youtube.com/watch?v=0kJ45CCZyu8
Per approfondire:
Fernando di Leo e il suo cinema nero e perverso – Profondo Rosso (2009)
Pag. 240 – Euro 25,00
Sceneggiatore e regista, Fernando di Leo è uno degli autori più interessanti del cinema italiano dagli ani Sessanta in poi. Da Per un pugno di dollari a Milano calibro 9, la sua carriera è una serie di grandi successi che hanno raggiunto l’apice quando Fernando di Leo si è specializzato nel genere noir ispirandosi ai romanzi disperati e violenti di Giorgio Scerbanenco. “Nei film girati da di Leo c’è sempre un’ironia di fondo, anche nelle pellicole più truci. I miei debiti di passione e cinematografici con questo regista sono tanti…” afferma Tarantino. I suoi film non sono molti, ma tutti si segnalano per il modo originale in cui affrontano tematiche insolite: Rose rosse per il Furher (1968), Brucia ragazzo brucia (1969), Amarsi male (1970), La bestia uccide a sangue freddo (1971), Milano calibro 9 (1972), La mala ordina (1972), Il boss(1973), La seduzione (1973), Il poliziotto è marcio (1974), La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori (1975), Colpo in canna (1975), Gli amici di Nick Hezard (1976), I padroni della città (1977), Diamanti sporchi di sangue (1978), Avere vent’anni (1978), Vacanze per un massacro (1980), Razza violenta (1983), L’assassino ha le ore contate (1981) e Killer contro killers (1985).
Ordinabile a: ilfoglio@infol.it
Gordiano Lupi
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