Vivilcinema di maggio - giugno 2015
giovedì 25 giugno 2015
mercoledì 24 giugno 2015
martedì 23 giugno 2015
Ricordo di Laura Antonelli
Siamo stati tutti innamorati di lei negli anni Settanta-Ottanta. Ha inventato un genere e un personaggio: la cameriera maliziosa che fa intravedere le sue grazie per far innamorare ragazzini e uomini maturi. Non è stato solo merito di Samperi. Senza di lei non sarebbe accaduto niente. Io e Laura Antonelli abbiamo in comune la data di nascita: 28 novembre, segno zodiacale irrequieto del sagittario, lei 1941, io 1960. Diciannove anni di differenza che mi hanno permesso di eleggerla simbolo di un’adolescenza irrequieta. Adesso che non c’è più penso che ho perduto una parte della mia giovinezza, sottratta da un destino ineluttabile, come un sogno perduto.
Laura Antonelli, istriana di Pola, diplomata al liceo di Napoli, laureata all’ISEF insegnante di educazione fisica. Nel 1966 debutto televisivo (Carosello) e cinematografico con il Franco & Ciccio movie Le spie vengono dal semifreddo di Mario Bava, Le sedicenni di Luigi Petrini e Scusi, lei è favorevole o contrario? di e con Alberto Sordi. Nel 1969 è la volta de La rivoluzione sessuale di Riccardo Ghione, Un detective di Romolo Guerrieri, L’arcangelo di Giorgio Capitani e il tv movie Gradiva di Giorgio Albertazzi. Parte da sexy protagonista in Venere in pelliccia di Massimo Dallamano, citata anche come Le malizie di Venere o Venere nuda. Ottima l’interpretazione di Laura Antronelli che in questo film dimostra tutte le sue attitudini di nascente diva sexy. Nel 1970 si passa da un anonimo Sledge di Giorgio Gentili e John Sturges (1970) a Incontro d’amore a Bali di Ugo Liberatore e Paolo Heusch (1970), citato da Nanni Moretti in Io sono un autarchico (1976), quando il regista si dichiara innamorato di Laura Antonelli. Il merlo maschio di Pasquale Festa Campanile (1970) è il film che lancia Laura Antonelli come simbolo sexy in un Buzzanca movie, tratto dal racconto Il complesso di Loth di Luciano Bianciardi. Due film francesi: Gli sposi dell’anno secondo di Jean Paul Rappeneau (1971) e Trappola per un lupo (1972) di Claude Chabrol, con protagonista Jean Paul Belmondo le fanno conoscere l’attore e comincia così una lunga relazione. Laura Antonelli torna accanto a Buzzanca nel film All’onorevole piacciono le donne di Lucio Fulci (1972), una satira graffiante e riuscita dell’Italia democristiana.
L’anno fondamentale della carriera è il 1973 con l’exploit di Malizia per la regia di Salvatore Samperi. Il film è il capostipite di tutte le malizie all’italiana che verranno ed è il primo di una lunga serie di sexy commedie a base di docce nude, reggicalze ammiccanti e voyeurismo spicciolo. Il grande successo fa notare la Antonelli da Dino Risi che la dirige magistralmente in Sessomatto (1973), nove episodi da protagonista insieme a Giancarlo Giannini. Samperi la vuole ancora con sé per ricostruire l’accoppiata vincente di Malizia con Alessandro Momo. Il film è Peccato veniale (1974), altro successo senza precedenti, pure se più debole di Malizia. Simona di Patrick Longchamps (1974) è un altro film erotico che la vede recitare molto disinibita accanto a Raf Vallone. Tra il 1974 e il 1976 Laura Antonelli viene diretta da tre grandi registi con interpretazioni che la decretano attrice di grande livello. I contesti sono dannunziani e decadenti: Mio Dio come sono caduta in basso di Luigi Comencini (1974), Divina creatura di Giuseppe Patroni Griffi (1975) e L’innocente di Luchino Visconti (1976). Laura Antonelli torna a interpretare un ruolo erotico con Mogliamante di Marco Vicario (1977). Gran bollito di Mauro Bolognini (1977) è una favola nera ispirata alla vicenda reale della saponificatrice di Correggio. Letti selvaggi di Luigi Zampa (1979) è la classica commedia a episodi che vede Laura Antonelli impegnata per Un pomeriggio noiosetto con lei che spara a un presunto corteggiatore ma prima si fa vedere nuda e per La donna d’affari che la presenta invaghita di un direttore d’orchestra.
Il malato immaginario (1979) di Tonino Cervi la vede accanto al grande Alberto Sordi per una rivisitazione in chiave erotico-romanesca della commedia di Moliere. Mi faccio la barca di Sergio Corbucci (1980) presenta la Antonelli a fianco di Johnny Dorelli. Un puro film erotico – malizioso lo dirige ancora Samperi: Casta e pura (1981), che cerca di ricreare le atmosfere erotiche di Malizia in un contesto diverso. Viuuulentemente… mia di Carlo Vanzina (1982) va riscoperto perché è uno dei migliori film del periodo terrunciello di Diego Abatantuono. Porca vacca (1982) di Pasquale Festa Campanile è ambientato nella Prima Guerra Mondiale, con la Antonelli nei panni di una contadina. Sesso e volentieri di Dino Risi (1982) è un modesto film a episodi caratterizzato da tematiche sexy. La gabbia (1985) di Giuseppe Patroni Griffi è un insolito thriller erotico, un buon soft d’autore. Grandi magazzini di Castellano e Pipolo (1986) fa parte di una tipologia di film che vogliono far sorridere senza dar fastidio a nessuno. Laura Antonelli fa una breve apparizione senza veli, ma niente di eccezionale. Rimini Rimini (1986) di Sergio Corbucci è più divertente, anche se certe commedie sono alla frutta e la televisione è alle porte. La Venexiana (1986) di Mauro Bolognini (1986) è una commedia ambientata nella Venezia del Settecento che mostra con generosità la Antonelli senza veli. Roba da ricchi di Sergio Corbucci (1987) presenta un cast con Serena Grandi, Renato Pozzetto, Paolo Villaggio, Lino Banfi Claudia Gerini e Laura Antonelli. L’avaro (1990) di Tonino Cervi è un altro adattamento erotico di Molière con Alberto Sordi nei panni di un Arpagone romanesco tenutario di un bordello che presta i soldi al Papa.
Il malato immaginario (1979) di Tonino Cervi la vede accanto al grande Alberto Sordi per una rivisitazione in chiave erotico-romanesca della commedia di Moliere. Mi faccio la barca di Sergio Corbucci (1980) presenta la Antonelli a fianco di Johnny Dorelli. Un puro film erotico – malizioso lo dirige ancora Samperi: Casta e pura (1981), che cerca di ricreare le atmosfere erotiche di Malizia in un contesto diverso. Viuuulentemente… mia di Carlo Vanzina (1982) va riscoperto perché è uno dei migliori film del periodo terrunciello di Diego Abatantuono. Porca vacca (1982) di Pasquale Festa Campanile è ambientato nella Prima Guerra Mondiale, con la Antonelli nei panni di una contadina. Sesso e volentieri di Dino Risi (1982) è un modesto film a episodi caratterizzato da tematiche sexy. La gabbia (1985) di Giuseppe Patroni Griffi è un insolito thriller erotico, un buon soft d’autore. Grandi magazzini di Castellano e Pipolo (1986) fa parte di una tipologia di film che vogliono far sorridere senza dar fastidio a nessuno. Laura Antonelli fa una breve apparizione senza veli, ma niente di eccezionale. Rimini Rimini (1986) di Sergio Corbucci è più divertente, anche se certe commedie sono alla frutta e la televisione è alle porte. La Venexiana (1986) di Mauro Bolognini (1986) è una commedia ambientata nella Venezia del Settecento che mostra con generosità la Antonelli senza veli. Roba da ricchi di Sergio Corbucci (1987) presenta un cast con Serena Grandi, Renato Pozzetto, Paolo Villaggio, Lino Banfi Claudia Gerini e Laura Antonelli. L’avaro (1990) di Tonino Cervi è un altro adattamento erotico di Molière con Alberto Sordi nei panni di un Arpagone romanesco tenutario di un bordello che presta i soldi al Papa.
Laura Antonelli purtroppo gira l’inutile Malizia 2000 (1991) di Salvatore Samperi, che non solo non ripete il successo del film simbolo ma soprattutto ne segna l’amara e definitiva uscita di scena, causata dalle conseguenze di inadatte cure cosmetiche. Alcune iniezioni di siero antirughe le deturpano il volto, la faccia gonfia mostruosamente, le foto del disastro fisico fanno il giro del mondo e contribuiscono al flop della pellicola. Laura Antonelli chiede tre miliardi di danni alla produzione che non si prende nessuna responsabilità. Laura Antonelli si abbandona a crisi mistiche ed è coinvolta in tristi vicende giudiziarie. Il 27 aprile 1991 viene arrestata nella sua casa, a Cerveteri. La polizia trova 36 grammi di cocaina. Comincia il calvario, isolata dal mondo dello spettacolo e abbandonata dai falsi amici, vive sola, distrutta nel fisico e nell’anima. Il 17 marzo 2000, dopo nove anni, la Corte di Appello di Roma assolve Laura Antonelli perché il fatto non costituisce reato. La giustizia italiana pone rimedio al misfatto e le riconosce un danno d’immagine causato dal processo. Un modesto risarcimento di diecimila euro che non restituisce la serenità perduta a una donna segnata nel fisico e nel morale. Sandro Bondi mette in moto la procedura per riconoscere gli effetti della Legge Bacchelli a favore dell’attrice caduta in disgrazia. Lino Banfi e altri colleghi si mobilitano per risolvere una precaria situazione economica, ma lei afferma che vuole essere dimenticata e che non è più interessata alla vita terrena.
Laura Antonelli resterà per sempre la cameriera di Malizia che sale con sensualità i pioli di una scala galeotta. Noi siamo in basso e attendiamo di vedere le calze nere e la giarrettiera provocante. Non può morire un mito.
Laura Antonelli resterà per sempre la cameriera di Malizia che sale con sensualità i pioli di una scala galeotta. Noi siamo in basso e attendiamo di vedere le calze nere e la giarrettiera provocante. Non può morire un mito.
FILMOGRAFIA DI LAURA ANTONELLI: Le spie vengono dal semifreddo di Mario Bava (1966), Le sedicenni di Luigi Petrini (1966), Scusi, lei è favorevole o contrario? di Alberto Sordi (1966), La rivoluzione sessuale di Riccardo Ghione (1969), Un detective di Romolo Guerrieri (1969), L’arcangelo di Giorgio Capitani (1969), Gradiva di Gioirgi Albertazzi (Film tv) (1969), Venere in pelliccia o Venere nuda di Massimo Dallamano (1969) (mai uscito in Italia), Sledge di Giorgio Gentili e John Sturges (1970), Incontro d’amore a Bali di Ugo Liberatore e Paolo Heusch (1970), Il merlo maschio di Pasquale Festa Campanile (1970), Gli sposi dell’anno secondo di Jean Paul Rappeneau (1971), Trappola per un lupo (1972) di Claude Chabrol, All’onorevole piacciono le donne di Lucio Fulci (1972), Malizia per la regia di Salvatore Samperi (1973), Sessomatto di Dino Risi (1973), Peccato veniale di Salvatore Samperi (1974), Le malizie di Venere di Massimo Dallamano (1974) (rielaborazione tagliata di Venere nuda), Simona di Patrick Longchamps (1974), Mio Dio come sono caduta in basso di Luigi Comencini (1974), Divina creatura di Giuseppe Patroni Griffi (1975), L’innocente di Luchino Visconti (1976), Mogliamante di Marco Vicario (1977), Gran bollito di Mauro Bolognini (1977), Letti selvaggi di Luigi Zampa (1979), Il malato immaginario di Tonino Cervi (1979), Mi faccio la barca di Sergio Corbucci (1980), Casta e pura di Salvatore Samperi (1981), Viuuulentemente… mia di Carlo Vanzina (1982), Porca vacca di Pasquale Festa Campanile (1982), Sesso e volentieri di Dino Risi (1982), La gabbia di Giuseppe Patroni Griffi (1985), Grandi magazzini di Castellano e Pipolo (1986), Rimini Rimini di Sergio Corbucci (1986), La Venexiana di Mauro Bolognini (1986), Roba da ricchi di Sergio Corbucci (1987), L’avaro di Tonino Cervi (1990), Malizia 2000 di Salvatore Samperi (1991).
Pubblicato su Futuro Europa:
giovedì 18 giugno 2015
Lo strangolatore di Vienna (1971)
di Guido Zurli
Regia: Guido Zurli. Soggetto: Guido Zurli. Sceneggiatura: Lorenzo Gicca Palli, Karl Ross, Guido Zurli. Fotografia: Augusto Tiezzi. Scenografie: Francesco Di Stefano. Montaggio: Enzo Alabiso, Elisabetta Innocenzi. Musica: Alessandro Alessandroni. Costumi: Gloria Cardi. Assistente Regia: Fabrizio Tucci. Genere: Horror. Durata: 92’. Produzione: Italia/Germania. Interpreti: Victor Buono, Franca Polesello, Brad Harris, Dario Michaelis, Luca Sportelli, Karin Field.
Regia: Guido Zurli. Soggetto: Guido Zurli. Sceneggiatura: Lorenzo Gicca Palli, Karl Ross, Guido Zurli. Fotografia: Augusto Tiezzi. Scenografie: Francesco Di Stefano. Montaggio: Enzo Alabiso, Elisabetta Innocenzi. Musica: Alessandro Alessandroni. Costumi: Gloria Cardi. Assistente Regia: Fabrizio Tucci. Genere: Horror. Durata: 92’. Produzione: Italia/Germania. Interpreti: Victor Buono, Franca Polesello, Brad Harris, Dario Michaelis, Luca Sportelli, Karin Field.
Lo
strangolatore di Vienna è black-comedy più che horror, come spesso viene classificato,
commedia nera e grottesca con momenti di vera suspense (soprattutto nel concitato finale) e situazioni ai limiti
dell’assurdo interpretate da personaggi caricaturali. Ambientato a Vienna nel
1930. Formidabile il nordamericano Victor Buono che presta uno sguardo da
invasato e un’imponente corporatura per dare vita a un macellaio uscito dal
manicomio che in rapida successione strangola la moglie, una prostituta e il
cognato. La trovata geniale, ai limiti del surreale, per liberarsi dei corpi
femminili, consiste nel saponificare le ossa e produrre ottime salsicce con le
carni delle vittime, da vendere al parco di Vienna con un carrettino.
“La carne
è carne!”, esclama. Frase simbolica che rappresenta il tono comico - grottesco
dell’intera pellicola. I bottoni del vestito della moglie e l’anello di una
sexy vicina finiti nelle salsicce, saranno la spia degli eccidi e permetteranno
a due insoliti investigatori (un giornalista americano e un commissario
austriaco) di risolvere il caso. Lo strangolatore finirà saponificato nella
vasca del suo acido.
Tra le sequenze più
interessanti ricordiamo alcuni momenti da commedia sexy: il macellaio che spia
la procace vicina dalla finestra mentre si spoglia in controluce, un rapporto
con una prostituta e il buco della chiave dal quale adocchiare un sensuale spogliarello.
Un film teatrale, girato quasi completamente in interni, in quattro colori,
arricchito da panoramiche di Vienna, corse spensierate del giornalista con la
sua bella a ritmo di valzer e giri di ruota di un gigantesco Luna Park che
mostra la città dall’alto. Ottima la colonna sonora di Alessandroni, a base di
musiche anni Venti, da cinema slapstick,
per un film che anticipa Tobe Hooper e ricorda la bottega degli orrori di Roger Corman.
Un lavoro curioso, che diverte e non presenta tempi morti, a parte pochi dialoghi datati tra un giornalista a caccia di notizie e un ingessato commissario. Il protagonista ispira simpatia, nonostante le nefandezze, così come il regista è molto bravo a far intuire le sequenze macabre sfumando la scena al momento giusto. Victor Buono è fantastico quando taglia la carne e prepara salsicce nel suo oscuro rifugio, quando regala orribili prodotti ai poliziotti che lo sorvegliano e nelle sequenze che lo vedono irretire in una perversa spirale l’ultima vittima. Ottimo anche Luca Sportelli, cognato un po’ imbranato e vigliacco che fa una brutta fine. Franca Polesello è petulante quanto basta per restare subito antipatica.
Lo strangolatore di Vienna presenta un ben riuscito mix di comicità e tensione, ironia e surreale, thriller e umorismo britannico. Peccato che sia una pellicola quasi introvabile e che i pochi critici che si degnano di ricordarla sembrano farlo per sentito dire piuttosto che dopo una visione effettiva. Sanguinoso e delirante (ma senza sangue effettivo), cinema estremo, grottesco, divertente, lontano da ogni moda, che in Italia può trovare qualche similitudine - per il clima umoristico - soltanto nell’avatiano Tutti defunti tranne i morti. Non è facile raccontare una storia horror con toni comico - umoristici. Zurli ci riesce molto bene. Titoli per il mercato estero: The mad butcher (USA - GB), L’etrangleur de Vienne (Francia).
Guido Zurli (Foiano della Chiana, 1929 - Roma 2009) debutta alla regia nel 1962 con Le verdi bandiere di Allah, un film che avrebbe dovuto girare Sergio Leone. Si dedica per tutta la vita al cinema di genere, sfornando un’impressionante numero di pseudonimi: Albert Moore, G. Z. Reds, Jean Loret, Frank Sanders e persino Guider Zurlen, come sceneggiatore del debutto porno di Moana Pozzi: Valentina, ragazza in calore di Raniero Di Giovanbattista. Tra i suoi film ricordiamo lavori western, spy story, horror, gialli, avventurosi, tutti caratterizzati da uno stile comico - grottesco. Lavora molto all’estero, soprattutto in Turchia, per evitare di cadere nella spirale del cinema erotico e delle pellicole a luci rosse; negli anni Ottanta si dedica alla regia televisiva. Ricordiamo un titolo erotico di culto: Gola profonda nera (1976), interpretato dal transessuale Ajita Wilson.
Seguite la mia rubrica di cinema su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/
Un lavoro curioso, che diverte e non presenta tempi morti, a parte pochi dialoghi datati tra un giornalista a caccia di notizie e un ingessato commissario. Il protagonista ispira simpatia, nonostante le nefandezze, così come il regista è molto bravo a far intuire le sequenze macabre sfumando la scena al momento giusto. Victor Buono è fantastico quando taglia la carne e prepara salsicce nel suo oscuro rifugio, quando regala orribili prodotti ai poliziotti che lo sorvegliano e nelle sequenze che lo vedono irretire in una perversa spirale l’ultima vittima. Ottimo anche Luca Sportelli, cognato un po’ imbranato e vigliacco che fa una brutta fine. Franca Polesello è petulante quanto basta per restare subito antipatica.
Lo strangolatore di Vienna presenta un ben riuscito mix di comicità e tensione, ironia e surreale, thriller e umorismo britannico. Peccato che sia una pellicola quasi introvabile e che i pochi critici che si degnano di ricordarla sembrano farlo per sentito dire piuttosto che dopo una visione effettiva. Sanguinoso e delirante (ma senza sangue effettivo), cinema estremo, grottesco, divertente, lontano da ogni moda, che in Italia può trovare qualche similitudine - per il clima umoristico - soltanto nell’avatiano Tutti defunti tranne i morti. Non è facile raccontare una storia horror con toni comico - umoristici. Zurli ci riesce molto bene. Titoli per il mercato estero: The mad butcher (USA - GB), L’etrangleur de Vienne (Francia).
Guido Zurli (Foiano della Chiana, 1929 - Roma 2009) debutta alla regia nel 1962 con Le verdi bandiere di Allah, un film che avrebbe dovuto girare Sergio Leone. Si dedica per tutta la vita al cinema di genere, sfornando un’impressionante numero di pseudonimi: Albert Moore, G. Z. Reds, Jean Loret, Frank Sanders e persino Guider Zurlen, come sceneggiatore del debutto porno di Moana Pozzi: Valentina, ragazza in calore di Raniero Di Giovanbattista. Tra i suoi film ricordiamo lavori western, spy story, horror, gialli, avventurosi, tutti caratterizzati da uno stile comico - grottesco. Lavora molto all’estero, soprattutto in Turchia, per evitare di cadere nella spirale del cinema erotico e delle pellicole a luci rosse; negli anni Ottanta si dedica alla regia televisiva. Ricordiamo un titolo erotico di culto: Gola profonda nera (1976), interpretato dal transessuale Ajita Wilson.
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lunedì 15 giugno 2015
Bagnomaria (1999)
di Giorgio Panariello
Regia: Giorgio Panariello. Soggetto e Sceneggiatura: Piero De Bernardi, Leonardo Benvenuti, Giorgio Panariello. Fotografia: Danilo Desideri. Montaggio: Antonio Siciliano. Effetti Speciali: Franco Galiano. Musiche: Gianluca Sibaldi. Scenografia: Gualtiero Caprara. Costumi: Tatiana Romanoff. Produttori: Vittorio Cecchi Gori, Rita Rusic. Case di Produzione: Cecchi Gori Group, Tiger Cinematografica. Distribuzione: Cecchi Gori Group. Genere. Commedia. Durata: 90'. Interpreti: Giorgio Panariello (Mario, Merigo, Pierre, Simone), Gianna Giachetti (Bice), Ugo Pagliai (il sindaco), Andrea Cambi (il vigile), Pietro Fornaciari (Livorno), Manuela Arcuri (la bombolonaia), Lillo & Greg (avvocati), Mario Cipollini (se stesso), Alfiero Toppetti (cliente del Bagnomaria), Piero Maggiò (Boris), Renzo Rinaldi (prete).
Quando vidi al cinema Bagnomaria mi sembrò un film inutile e irritante, una farsa balneare ai minimi termini, ché chiamarla commedia era davvero troppo, basata su quattro personaggi televisivi portati al successo da Panariello e costruita su una delle peggiori sceneggiature di Benvenuti e De Bernardi. Non che il giudizio sia cambiato di molto, ma a distanza di quasi vent'anni devo dire che il film è invecchiato bene e che qualche elemento positivo si riesce a trovare. Girato in Versilia, fra Marina di Pietrasanta e Forte dei Marmi, riceve un'accoglienza critica così negativa che Panariello riceve una nomination come Peggior attore per l'edizione 1999 dei Fiaschi d'oro. La trama si racconta in poche righe, perché è solo un pretesto per le esibizioni di Panariello alle prese con i personaggi lanciati da Carlo Conti. A Marina di Pietrasanta assistiamo alle gesta poco eroiche di Merigo (ubriacone appassionato di biciclette), Pierre (figlio del sindaco, fancazzista amante della discoteca), Simone (un bambino scappato dalla colonia) e Mario (il bagnino contafrottole del Bagnomaria). Sono fermamente convinto che - tra vent'anni - Bagnomaria si guadagnerà uno status di culto, come icona del trash, se non altro per il debutto di una prorompente Manuela Arcuri come venditrice di bomboloni che seduce Simone. Non solo. Ugo Pagliai sindaco del paese e padre di un discotecomane nottambulo vale il prezzo del biglietto. Tony Corallo che canta Lauretta mia/ bimba adorata/ la serenata/ la canta papà... non è da meno.
Altri momenti cult. Merigo che trasporta in bicicletta la salma del defunto Brunello convinto che sia vino e sbotta quando il prete in chiesa dice: Bevetene tutti... Simone invaghito della venditrice di bomboloni che diventa invisibile per sfuggire al fidanzato. Manuela Arcuri giovanissima in tutta la sua bellezza che si fa ammirare in bikini. Merigo che parla con la bicicletta nuova di zecca come se fosse una donna. Mario il bagnino che riemerge dalle acque citando il finale di Venerdì 13. Poco altro, certo, un piccolo ruolo anche per Pietro Fornaciari, il babbaccio di Ovosodo, figura da film di Virzì, riparatore di biciclette soprannominato Livorno, impegnato a tirare scherzi feroci a Merigo. Bagnomaria è una farsa sgangherata, un film senza trama, sceneggiato su misura per la comicità di Panariello, ma conserva una sua ben precisa originalità. Un prodotto commerciale, un lavoro appena dignitoso, un television movie cabarettistico che - contrariamente a certe pseudo commedie contemporanee - si basa sui tempi comici di un vero attore e rispetta il pubblico.
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domenica 7 giugno 2015
Il bacio (1974)
Regia: Mario Lanfranchi. Soggetto: Carolina Invernizio
(Il bacio di una morta, libera
riduzione). Sceneggiatura: Marino Lanfranchi, Pupi Avati. Montaggio: Luciano
Anconetani. Fotografia: Claudio Collepiccolo (Technicolor). Musiche: Piero
Piccioni. Edizioni Musicali: Euro Filmusic. Scene e Costumi: Giancarlo
Bartolini Salimbeni. Organizzatore Generale: Mario Davidde. Direttore di
Produzione: Pierluigi Ciariaci. Produzione: Inter Vision. Aiuto Regista.
Lamberto Bava. Secondo Aiuto Regista: Antonio Avati. Operatore alla Macchina:
Roberto Gengarelli. Coreografie: Alberto Testa. Effetti Speciali: Guido
Massari. Fotografo di Scena: Francesco Bellomo. Teatri di Posa: Elios Film -
R.P.A.. Doppiaggio: Fono Roma srl - C.D.. Interpreti: Maurizio Bonuglia,
Eleonora Giorgi, Martine Beswick, Brian Deacon, Vladey Sheybal, Gianni Cavina,
Tonino Pierfederici, Barbara Romana Calori, Massimo Girotti, Valentina Cortese,
Franca Maresa, Glauco Scarlini, Luigi Zerbinati, Giovanni Vannini, Vittorio
Fanfoni, Riccardo Berlingeri, Gabriele Bentivoglio, Alessandro Perrella,
Corrado Annicelli, Edoardo Toniolo, Macia Pellegrini.
Il bacio è la terza versione del feuilleton Il bacio di una morta di Carolina
Invernizio, dopo gli adattamenti di Guido Brignone (1949) e Carlo Infascelli
(1973), penalizzato anche dal non poter usare il titolo integrale, vista la
vicinanza temporale con la precedente pellicola. Non ci sono grandi differenze
di soggetto tra il film di Infascelli e quello di Lanfranchi, a parte l’ambientazione
veneziana, un duello alla pistola invece che alla spada e una sceneggiatura di stampo
horror erotico. Lanfranchi - aiutato da Pupi Avati - giustifica meglio di
Infascelli la passione improvvisa di un marito per una ballerina di night con
l’escamotage delle messe nere e di
una setta satanica guidata da una sorta di strega. Non solo. Il perfido gruppo
di adoratori del demonio convince il conte che la moglie lo sta tradendo con il
fratellastro e fa trapelare il sospetto di un incesto.
Tutto segue i canoni del
romanzo d’appendice, intrigato, contorto, ricco di sottotrame. Si comincia con
Alfonso (Deacon), il fratellastro che torna a casa e si rende conto che Elena (Giorgi)
è stata sepolta viva. Il film procede in un lungo flashback veneziano, narrando l’amore tra il conte Rambaldi (Bonuglia)
ed Elena, la passione per Nara (Beswick), una ballerina di facili costumi, il
timore del tradimento, il tentativo di liberarsi della moglie, il processo, la
condanna della perfida amante e il ritorno a casa del conte, tra le braccia di
Elena.
Ottimi attori, anche tra le presenze di contorno: l’avatiano Gianni
Cavina è il custode del cimitero che spalanca la bara di Elena ad Alfonso,
Valentina Cortese è Madame Lixen, una sorta di strega lesbica che guida le
messe sataniche, Massimo Girotti è il duca Dazzi che sfida a duello per amore
il conte Rambaldi. Molto brava nel ruolo di Elena una giovanissima Eleonora
Giorgi (21 anni), in uno dei primi ruoli importanti, dopo Appassionata (1974) di Gianluigi Caderone, che aveva scandalizzato
la critica benpensante. Pure ne Il bacio
registriamo un paio di sequenze erotiche, molto castigate. La giamaicana
Martine Beswick (1941) - che un anno prima ci aveva deliziato in Ultimo tango a Zagarol (1973) di Nando
Cicero, interpreta il suo ultimo film italiano e si congeda con una parte sexy
e disinibita.
Nel film di Infascelli il ruolo di Elena era ricoperto
dall’esperta Silvia Dionisio e quello di Nara da Karin Schubert, ma le parti
erotiche erano appena accennate. Valentina Cortese recita con impegno teatrale
un complesso ruolo da megera lesbica che irretisce il conte, favorendo i piani
di Nara. Il bacio presenta diversi pregi:
atmosfera horror inquietante, erotismo torbido (sequenza hot Cortese - Beswick
a rischio taglio censura, più ordinari i rapporti matrimoniali Bonuglia -
Giorgi), fotografia ocra, ambientazione veneziana, sceneggiatura priva di buchi
e montaggio rapido.
L’originalità rispetto al film di Infascelli - e anche nei
confronti del romanzo della Invernizio - sta nel ruolo di Valentina Cortese,
poetessa maledetta che dirige una corte dei miracoli dedita a sesso, droga e
messe nere. Molto ben strutturato il colpo di scena processuale con il ritorno
della sepolta viva e la condanna della perfida amante. Lieto fine assicurato.
Vediamo la critica. Marco Giusti (Stracult): “Uscito un anno dopo Il bacio di una morta di Carlo Infascelli, e quindi penalizzato nel
titolo (si ferma a Il bacio…), ma
forse più interessante, anche per il cast che presenta e per la sua costruzione
horror”. Morandini e Farinotti si limitano a citare la pellicola, a loro
giudizio meritevole di una stella, massimo due. Paolo Mereghetti (una stella e
mezzo): “Terza scatenata versione di Il
bacio di una morta di Carolina Invernzio… Lanfranchi sfrutta discretamente
calli e canali; scenografie e costumi (con la Beswick a metà strada tra Theda
Bara e Vampira) sono uno spasso. Pupi Avati, sceneggiatore col regista,
rispetta il materiale di appendice (duelli, processi, fantasmi, perdizioni e
redenzioni) e calca la mano sul lato morboso (la Cortese che officia messe
nere, presunti incesti, necrofilia). Il troppo comunque stroppia: a quale
pubblico si rivolge un film così?”. Agli amanti del cinema di genere che non
siamo più capaci di fare, rispondiamo.
Conosciamo il regista, seguendo il testo di Roberto
Poppi. Mario Lanfranchi (Parma, 1927) è un autore televisivo di prosa,
inchieste, programmi musicali, ma soprattutto uno dei più importanti registi italiani
di opere liriche. Al cinema dal 1963, soprattutto per filmare opere liriche
come La traviata (1966),
interpretata dalla moglie, il soprano Anna Moffo. Lanfranchi è il primo a
impegnarsi per rendere fruibile l’opera lirica al grande pubblico. Ricordiamo
al cinema: La serva padrona (1963), Sentenza di morte (1967), Il bacio (1974), La padrona è servita (1975), Genova
a mano armata (1976). Per gli ultimi tre film risulta anche produttore. In
televisione: Ritorno dall’abisso
(1963), Venezia, carnevale, un amore
(1982).
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