Regia: Claudio Caligari. Soggetto e Sceneggiatura:
Guido Blumir, Claudio Caligari. Consulenza scientifica: Guido Blumir.
Fotografia: Dario Di Palma. Montaggio: Enzo Meniconi. Musiche: Mariano Detto.
Edizioni Musicali: Triple Time. Canzoni del tema: Acqua azzurra acqua chiara (Mogol - Battisti), Per Elisa (Battiato - Pio - Visconti). Aiuto Regista: Stefano Oddi.
Operatore alla Macchina: Roberto Di Palma. Assistente Operatore. Antonio
Scaramuzza. Fotografo di Scena: Carola Saltamerenda. Fonico: Roberto
Alberghini. Microfonista: Antonino Pantano. Trucco: Teresa Cicchetti, Enzo
Baraldi. Segretario di Produzione: Paolo Trotta. Consulenza Medica: dr. Antonio
Severini. Amministrazione: Maria Lavinia Gualino, Gian Luigi Bruni. Assistente
al Montaggio: Francesco Malvestito. Capo
Squadra Macchinisti: Luciano Micheli. Capo Squadra Elettricisti: Luciano
Michisanti, Franco Brescini. Macchine da Presa: Arco 2 srl. Mezzi Tecnici:
Tecnica Cinematografica srl. Sonorizzazione: Internazionale Doppiaggio.
Sviluppo e Stampa: Cinecittà spa. Ispettore di Produzione: Bruno Tribbioli.
Scenografia e Costumi: Lia Morandini, Maurizio Santarelli. Organizzatore
Generale: Roberto Giussani. Casa di Produzione: Iter International spa.
Produttore. Giorgio Nocella. Durata: 96’. Genere. Drammatico, droga movie. Interpreti: Cesare
Ferretti, Michela Mioni, Enzo Di Benedetto, Roberto Stani, Clara Memoria, Dario
Trombetta, Loredana Ferrara, Mario Afeltra, Fernando Arcangeli, Gianni
Schettini, Mario Caiazzi, Silvia Starita.
I droga
movie sono un sottogenere cinematografico interessante che ha
caratterizzato gli anni Ottanta del cinema italiano. Il primo film di
questo tipo è Tunnel (meglio
noto come Eroina), girato da
Massimo Pirri nel 1980 e presentato al Festival di Venezia nello stesso anno.
Nelle sale si vedrà solo tre anni dopo, in una nuova edizione. Interpreti: Helmut
Berger, Corinne Cléry, Marzio C. Honorato, Franco Citti e Francesca
Ciardi. Il film tenta di costruire uno spaccato sociale romano mostrando
i tossici dei primi anni Ottanta, ma gli attori sono professionisti e l’idea
del regista sarebbe quella di dipingere la fine di una generazione utilizzando
il volto distrutto di Berger. L’esperimento riesce fino a un certo punto. Si
racconta la storia di uno spacciatore in fin di vita (Berger), di una bella
ragazza abbastanza ingenua che si droga (Cléry) e di un bieco Honorato. I tre
vivono su un autobus tra droga e sesso, crisi di astinenza e spaccio di
stupefacenti, fino al tragico finale. La scena più sconvolgente della pellicola
è quella che mostra una pera nell’organo
sessuale della Cléry.
Amore
tossico, girato nel 1983 da
Claudio Caligari, è il vero film
cult in tema di droga movie,
un’esperienza singolare di pellicola realistica girata in presa diretta. Il
film è ambientato a Ostia nel mondo dei drogati e descrive la quotidiana caccia alla roba da parte di un gruppo
di amici. Cesare Ferretti, Michela Mioni, Enzo Di Benedetto, Roberto Stani,
Loredana Ferrara e Clara Memoria sono tutti attori non professionisti, soprattutto
ex drogati. Recitano le parti dei personaggi con i loro nomi di battesimo e
utilizzano un linguaggio trucido da borgatari che costituisce un mix riuscito
di dialetto romanesco, gergo della malavita e del mondo dei tossici. I rumori
di fondo tipici di un film inchiesta completano il quadro, al punto che - pur
trattandosi di fiction - sembra
proprio che gli attori recitino scene della loro vita. Non è così, ma di fatto
interpretano un mondo e compiono dei gesti che conoscono molto bene, quindi
risultano impeccabili nella finzione scenica.
Vediamo l’acquisto delle
siringhe, dei limoni, della droga, una scena veritiera dei tre amici che
preparano la dose e se la sparano in vena. I protagonisti sono ex drogati, la
condizione delle loro vene lo dimostra a sufficienza, così come è realistica la
parte in cui vomitano dopo aver preso la dose. Vediamo il gruppo di tossici alle
prese con il metadone e il servizio sociale che tenta di recuperarli, le sedute
psicologiche e le rapine per procurarsi la
roba. La sequenza con Loredana che si
spara un’endovena nel collo è realistica e ben interpretata, ovviamente nella
siringa c’è acqua distillata al posto di eroina bianca. Il linguaggio del film
è un’altra perla da segnalare: uno schizzo (una dose), uno strappo (uno scippo), una
chiusura (un furto), svoltare
(comprare la droga e farsi), la spada
(la siringa). Si racconta la prima volta
che ci siamo fatti di cocaina, quasi come se si parlasse del primo amore, e
la prima pera è vissuta in modo
romantico. Il film è girato come un documentario, freddo e glaciale nella prima
parte, al punto di scuotere i benpensanti convinti che sul set si faccia sul
serio. Si parla di uso e spaccio di droga come se fosse la cosa più normale del
mondo, si esibiscono transessuali e prostitute che si vendono per comprare la
dose, si punta l’indice accusatore su papponi
e sfruttatori dei tossicodipendenti. Un protettore sfrutta le drogate in crisi
di astinenza, promettendo dosi in cambio di prestazioni sessuali alle sue
dipendenze per clienti selezionati. Una scena molto trash vede un travestito innamorato di Cesare che avvicina due
suore vestite di bianco per scandalizzarle: “Ma perché me piace tanto er cazzo?
Le dia una palpatina, sorella…”.
Alcuni ex
drogati raccontano la calata negli inferi del mondo della tossicodipendenza e
la preparazione delle dosi è descritta in modo particolareggiato: cucchiaio,
accendino, filtro, siringa e penetrazione in vena. I due protagonisti
innamorati (Cesare e Michela) parlano di smettere ma non ce la fanno e quando
decidono di farsi l’ultima pera è
troppo tardi. La coca, presa come ai vecchi tempi, iniettata in vena sotto il monumento
in memoria di Pasolini, produce il danno irreparabile.
La seconda parte del film è troppo drammatica, finisce
per scadere nel banale con la sequenza della overdose di Michela davanti al monumento di Pasolini. La scena
è così tecnicamente ben realizzata da sembrare vera, anche se i flashback romantici di Cesare
risultano eccessivi. La corsa all’ospedale è inutile, i medici tentano di
salvare la ragazza ma c’è poco da fare mentre Cesare disperato ricorda il
passato. Il fallito suicidio di Cesare a Ostia, la sua corsa di nuovo verso
Roma, la polizia che uccide il protagonista, completano il quadro di una
conclusione troppo melodrammatica. La prima parte della pellicola, invece, è
ben sceneggiata ed è credibile come se fosse un documentario nel mondo dei
tossici, realizzato da Caligari e Blumir.
La critica non è uniforme. Paolo Mereghetti (una
stella e mezzo): “Fenomenologia dell’uso e dello spaccio della droga girata con
stile documentaristico e interpretata da drogati autentici, che cede in un
finale banalmente drammatico. La regia vorrebbe essere distaccata, ma è tanto
piatta che rischia di essere voyeuristica
(le scene nell’endovena nel collo)”. Morando Morandini (due stelle e
mezzo): “Ambientato a Ostia e dintorni, è, in chiave di cinema verità, una
fiction di cui sono interpreti veri giovani drogati con le braccia trafitte di
buchi e di lividi, le fantasie e pulsioni di morte, i comportamenti e le
liturgie, il ribaldo vitellismo, la pena e il disordine del vivere, la tetra
allegria. Fu definito un film tagliato, come si dice dell’eroina (o del vino),
fatto di roba buona (efficace) e di roba meno buona, come nel finale
retorico e melodrammatico. Film postpasoliniano
per l’ambientazione, l’onesto atteggiamento frontale, il linguaggio disadorno e
lucido che nasce dal rispetto e suscita pena”. Pino Farinotti concede tre
stelle, valutazione condivisibile, ma si limita a sintetizzare la trama fino
all’epilogo melodrammatico della morte di Cesare per mano di due poliziotti che
avevano tentato di fermarlo. Marco Giusti (Stracult): “È rimasto un film unico,
curioso, assolutamente anomalo. Opera prima di Claudio Caligari sul mondo e
sottomondod ella droga a Roma, con veri drogati, quasi tutti scomparsi e finiti
male (a cominciare dalla protagonista Michela Mioni per finire con la poetessa
Patrizia Vicinelli). Quando uscì a Venezia venne accusato di paolinismo a buon
mercato, di dipendenza da troppi padroni - cioè Gaumont e Marco Ferreri che,
caso più unico che raro, lo sponsorizzava all’americana - di bassa
sociologia. Ma il film ha una forza e un
realismo estranei al cinema di quel tempo, perfino nei suoi eccessi. Si
sprecano gli schizzi, le scene che vorrebbero essere emblematiche, come il
quadro costruito con il sangue dei ragazzi che si bucano, i troppi omaggi a
Pasolini (Michela muore a Ostia davanti al suo monumento, Cesare viene ucciso
dalla polizia come Franco Citti in Accattone),
i flashback sballati. Ma il viaggio
da Ostia a Roma in attesa della roba, il trucidume dei primi anni Ottanta è
fotografato con un tempismo agghiacciante. Ultratrash, ultrarealistico. Un film
perso da molto tempo (ora ritrovato, disponibile in dvd, nda). Caligari tornerà alla regia quindici anni dopo, grazie a un
altro regista, Marco Risi, che gli produrrà l’interessante Il colore della notte”. Il titolo corretto della pellicola è L’odore della notte, ma Giusti non può
scrivere una voce senza inserire un errore, forse fa parte del suo stile.
Roberto Poppi (I Registi Italiani):
“Cruda e spietata cronaca della quotidianità disperata di due giovani
tossicodipendenti”.
Amore
tossico viene premiato al
Festival di Venezia come miglior opera prima, riceve un riconoscimento speciale
nella sezione De Sica, ed è distribuito con il patrocinio di Marco Ferreri che
lo difende da tutte le critiche negative. Riceve anche il Premio Selezione
Speciale al Festival di Valencia, mentre Michela Mioni ottiene il Premio come
miglior interprete femminile al Festival di San Sebastiano.
Amore
tossico è un film singolare,
atipico, curioso, che descrive il sottomondo della droga facendo parlare attori
estrapolati dall’ambiente della tossicodipendenza. I protagonisti non si sono più
visti in altre pellicole e da quel che si legge pare che siano finiti quasi
tutti male. Cesare Ferretti, il protagonista principale, pur disintossicato
dall’eroina, è morto di Aids il 17 marzo del 1989, come la poetessa Patrizia
Vicinelli - nel film interpreta la pittrice che dipinge quadri con il sangue
dei tossici - ex Gruppo 63, morta di Aids nel 1991 e Loredana Ferrara (22
settembre 1991). Michela Mioni, la protagonista femminile premiata a San
Sebastiano, è ancora viva, ma ha avuto guai giudiziari pochi mesi dopo l’uscita
del film. Roberto Stani (Ciopper, nel film) ha continuato a fare l’attore di
teatro di taglio pasoliniano, legati al mondo del carcere, ed è morto il 15
luglio 2011, in Africa (dove si trovava per sposarsi), per malaria.
Il regista afferma. “Erano attori non professionisti,
scoperti da me e da Blumir nel mondo della droga, alcuni ne erano usciti, altri
meno. Era importante che conoscessero bene l’ambiente per conferire realismo
alla sceneggiatura, ma dovevano anche essere capaci di recitare. Non fu facile
scegliere. Capitava che dovessimo sostituire qualcuno perché arrestato dalla
polizia e allora lo rimpiazzavamo con delle comparse somiglianti”. Amore tossico è stato tacciato di pasolinismo a buon mercato e di bassa
sociologia. Non condividiamo. Resta un film eccessivo e realistico, forte
quanto basta e ricco di scene simboliche. Il quadro costruito con il sangue dei
ragazzi che si bucano è un vero colpo di genio del regista. “Questo sì che è un
quadro vero. Fatto di vita. Fatto di sangue. Di sangue nostro”, dice Cesare. Un’opera
ancora oggi definita di culto che segna per sempre la carriera di Caligari. Inquietante
la colonna sonora di Mariano Detto, musica gelida, intensa, psichedelica,
interrotta da un paio di canzoni leggere intonate dai tossici: Acqua azzurra acqua chiara e Per Elisa. Fotografia sporca di Dario Di
Palma, pellicola quasi graffiata che - insieme al suono in presa diretta e al
montaggio compassato - conferisce realismo alla narrazione.
Claudio Caligari
Gli anni Settanta - Ottanta sono il periodi di maggior
diffusione della droga pesante in Italia, la stampa affronta il problema, ma in
modo soft, senza spiegare i motivi
per cui la gente si droga. Caligari e Blumir vengono dal documentario e dalla
saggistica sul tema della tossicodipendenza, conoscono a fondo il tema e
pongono l’accento su quello che molti non osano dire. Il regista non ha
difficoltà a esibire la ricerca del piacere, di un piacere tutto interno e
personale, non condivisibile, che gli stupefacenti offrono a buon mercato.
Caligari aveva già girato un documentario sull’eroina, con Amore tossico decide di realizzare fiction veritiera, affrontando un argomento che i media rimuovono sistematicamente. Amore tossico vive anche di
situazioni grottesche, ai limiti del comico, immerso nel mondo illegale della
periferia romana, recitato da un gruppo di ex drogati che diventano uomini di
fiducia del regista. Caligari acquisisce il gergo dei drogati, della malavita e
della borgata, scrive un soggetto con l’aiuto dei ragazzi che agiscono come
veri esperti, ma si serve anche di un consulente medico per girare le scene con
le iniezioni in vena. La sceneggiatura viene modificata ben quindici volte,
perché Caligari tiene conto delle critiche del gruppo di ex drogati e vuole realizzare
un film che sia un vero spaccato di realtà degradata. “Il mondo della droga è
così singolare che solo chi l’ha vissuto può renderlo sulla scena”, afferma
Caligari. Il regista è bravo a scegliere ex tossici che sanno recitare e che
soprattutto non interpretano se stessi ma una sceneggiatura realistica. Molti
critici sono caduti nell’inganno di pensare che Amore tossico sia la vera vita dei protagonisti, mentre si
tratta di pura fiction interpretata
da attori che conoscono bene l’argomento di cui parlano.
Il regista ha rilasciato alcune interessanti
dichiarazioni che sono reperibili tra gli extra del dvd edito da Surf Video -
Dnc.
Valerio Mastandrea ha prodotto l'ultimo film di Caligari
“Fu un film molto difficile da fare. Avevamo
scritturato degli ex tossicodipendenti che condividevano l’operazione politica
del film, ma c’era il problema che ogni tanto uno di loro veniva arrestato
prima di girare una scena. Allora dovevamo ingaggiare avvocati per tirarli
fuori, spesso pagare costose cauzioni. Fu una vera avventura, il budget era
basso, girammo tutto in un mese. Decidemmo di girare il momento delle iniezioni
in vena in modo realistico, con riprese in primo piano, ricche di particolari. Le
scene più sconvolgenti erano quelle che mostrano vere iniezioni in vena di
sostanza liquida. Non si trattava di droga ma di sostanze disintossicanti e
neutre che gli ex tossicodipendenti non prendevano volentieri. La scena di
Loredana che si buca nel collo con acqua distillata per simulare eroina bianca è
stata realizzata con l’ausilio di un gigantesco specchio fuori campo perché
vedesse bene dove doveva infilare l’ago. Il problema di girare le sequenze con iniezioni
di finta droga nelle vene fu quello di convincere i drogati a non prendere
sostanze tossiche”.
Valerio Mastandrea e Claudio Caligari
Il film racconta la storia della droga in Italia che
comincia a diffondersi con la cocaina e l’anfetamina, per poi passare a eroina
e sostanze ancora più letali. Alcune sequenze della sceneggiatura non sono
state girate, forse per una sorta di autocensura che lo stesso Caligari si
impose. Il taglio consiste in alcune sequenze molto dure che ricostruivano il
mondo della droga in carcere. La sceneggiatura non girata narra l’arresto del
protagonista che passa una notte in galera con altri tossici, alla fine si vede
un drogato che s’impicca in preda a una crisi di astinenza. Dopo il suicidio
del tossico il protagonista viene trascinato in un’altra cella da alcuni
secondini e riempito di botte. La scena era ispirata a una storia vera, ma la produzione
decise di tagliarla - d’accordo con il regista - perché troppo cruda per il
momento storico, visto che si parlava di eroina in carcere e di botte inferte
dai secondini.
Mastandrea e Caligari sul set dell'ultimo film
Claudio Caligari (Arona, Novara 7 febbraio 1948 - 26
maggio 2015) è autore di interessanti documentari, soprattutto Perché droga, diretto con Daniele Segre.
nel 1975. Ricordiamo altri lavori di impostazione socio-culturale realizzati
con la collaborazione di Franco Barbero: Lotte
nel Belice, La macchina da presa
senza uomo, La follia della
rivoluzione, La parte bassa. Tre
film a soggetto, ma Amore tossico è
il suo lavoro di culto. Torna al cinema ben quindici anni dopo con L’odore della notte (1998), tratto da
un romanzo di Dido Sacchettoni, che Roberto Poppi definisce “un film molto ben
girato che cerca di riprendere il discorso avviato dal cinema poliziottesco degli anni Settanta, ma
con le ambizioni stilistiche dell’autore con la A maiuscola”. Malato da tempo, muore a soli 67 anni. Aveva
appena terminato di girare un nuovo lungometraggio: Non essere cattivo, prodotto da Valerio Mastandrea. Speriamo di
vederlo presto. I funerali del regista si sono svolti a Roma, il 28 maggio,
nella Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo.
Una versione ridotta di questo articolo è uscita su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/, per cui scrivo recensioni e articoli legati al mondo del cinema.
Una versione ridotta di questo articolo è uscita su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/, per cui scrivo recensioni e articoli legati al mondo del cinema.