Regia: Enrico Maria Salerno. Soggetto: Enrico Maria
Salerno. Sceneggiatura: Giuseppe Berto, Enrico Maria Salerno. Fotografia:
Marcello Gatti. Montaggio: Mario Morra. Musiche: Stelvio Cipriani (dirette
dall’autore). Edizioni Musicali: C.A.M.. Altre Musiche: La 5° Sinfonia di
Beethoven è diretta da Giorgio Gaslini; il Concerto in do minore per oboe e
orchestra di Alessandro Marcello è trascritto e diretto da Giorgio Gaslini.
Architetto Scenografo: Luigi Scaccianoce. Aiuto Regista: Vittorio Salerno.
Mixage: Alberto Bartolomei. Operatore alla Macchina: Otello Spila, Silvano
Mancini. Fotografo di Scena: G. B. Poletto. Costumi e Arredamento: Danda
Ortona. Effetti Ottici/ Negativi/ Positivi: S.P.E.S. direttore E. Catalucci.
Pellicola: Eastmancolor. Registrazione Sonora: Westrex Recording System. Studi
Sincronizzazione: C.D.S. con la collaborazione della C.D. srl. Produttore: Turi
Vasile per Ultra Film. Direttore di Produzione: Michele Marsala. Organizzazione
Generale: Danilo Marciani. Distribuzione: Interfilm. Durata: 94’.
Sgombriamo il campo da ogni possibile equivoco: Anonimo veneziano non c’entra niente con il lacrima movie. I soli punti di contatto sono la struggente colonna
sonora - invasiva e pervasiva - e la malattia di un protagonista, mentre viene
a mancare tutta la parte strappacuore,
la fine lacrimosa, che il regista lascia all’immaginazione dello spettatore.
Anonimo
veneziano è il primo film da regista
di un ottimo attore comico - drammatico come Enrico Maria Salerno (Milano, 1926
- Roma, 1994), che scrive il soggetto e si fa aiutare da un narratore di razza come
Giuseppe Berto per costruire una solida sceneggiatura e imbastire dialoghi
molto letterari. Unico successo commerciale che Salerno tenta di bissare -
senza riuscirci - prima con Cari
genitori (1972), quindi con Eutanasia
di un amore (1978) - dal romanzo di Giorgio Saviane - e infine con
l’originale televisivo Disperatamente
Giulia (1990).
Anonimo
veneziano vede due protagonisti
assoluti: Tony Musante (Enrico) e Florinda Bolkan (Valeria), senza dimenticare
una Venezia fotografata da Marcello Gatti senza alcuna tentazione calligrafica
e la stupenda colonna sonora di Stelvio Cipriani. Un uomo e una donna in
procinto di separarsi si ritrovano in una Venezia invernale e decadente per ricordare
i giorni felici d’un grande amore, quando la città sembrava solare e luminosa.
La coppia rivive il passato nei luoghi che prendono vita sotto i loro sguardi: la
casa del primo rapporto, il ristorante del pranzo di nozze, la prima
abitazione, il Canal Grande, i prati in riva alla Laguna. Tra litigi, sogni
perduti e recriminazioni arriva improvvisa la rivelazione di Enrico: sta
morendo per un tumore al cervello. Il regista è bravissimo a compenetrare il
senso di morte che alberga nel cuore del personaggio con la città in
disfacimento, una Venezia livida e triste, “destinata a colare a picco, come
una nave in fondo al mare”. La musica è la sola salvezza di Enrico, illumina di
speranza gli ultimi giorni, anche se dirigere un gruppo di giovani nel suo
concerto terminale è poca cosa rispetto alle illusioni del passato. Ma rivedere
Valeria, sapere che il figlio di otto anni sta bene e si ricorderà di lui,
dedicargli l’ultima sinfonia mentre la saluta in lacrime, è il suo ultimo
sogno. Vuole soffrire insieme a lei, dopo averla amata un’ultima volta,
comunicare il grande dolore, il senso di impotenza, per poi lasciarsi morire
nella sua Venezia. “Perché non dovrei aver paura? Ma in fondo non vorrei morire
in un altro luogo che questo, non perché ci sono nato, ma perché intorno a me
tutto parla di morte”, dirà Enrico.
Anonimo
veneziano è grande cinema, molto più
intenso e drammatico di Love story
(1970), anche se dal soggetto di Hiller e Segal prende il tema della malattia e
lo declina al maschile, oltre a mettere in primo piano un’intensa e struggente colonna
sonora. Il flashback è usato alla
Bergman, con i protagonisti immersi nelle scene del ricordo, proprio come ne Il posto delle fragole (1957). La
scuola prende vita, le voci del pranzo di nozze riecheggiano tra i tavoli del
cadente ristorante frequentato soltanto da una coppia di innamorati, la stanza
della prima notte d’amore spalanca le finestre sul loro presente. Un film molto
teatrale, interpretato magistralmente da due attori ispirati, sostenuto da un
testo di grande spessore e da una fotografia veneziana difficilmente
eguagliabile. La città prende vita e accompagna i sentimenti dei personaggi,
tra la tristezza di una Laguna solitaria, il vento sferzante che si fa largo tra
le stradine tortuose, i panni stesi ad asciugare dei quartieri popolari e le
panoramiche decadenti per immortalare il senso del tempo perduto. Un film proustiano, se si vuole, che cita
direttamente il più grande autore del Novecento durante la sequenza della prova
dei vestiti in un negozio di Burano. Persino Flaubert e la sua Madame Bovary sono presenti con un
pizzico d’ironia quando il marito afferma che le donne soffrono di bovarismo: sognano di mettere le corna
all’amante con l’ex marito. Salerno e Berto non dimenticano di inserire un riferimento
politico alla contrastata legge sul divorzio, prima approvata e subito dopo
oggetto di referendum popolare. Non solo, illustrano con dovizia di particolari
le difficoltà di un rapporto coniugale e le mille sfaccettatura dell’amore,
facendo assurgere a figure simbolo i due protagonisti. Ma la cosa più riuscita
del film è la contrapposizione tra un luminoso passato e un decadente presente,
tra la felicità che caratterizzava i giorni d’un amore intenso e la tristezza
di un lugubre quotidiano. Anonimo
veneziano è il titolo della sinfonia che Enrico sta portando in scena con un
gruppo di giovani allievi, un lavoro che vorrebbe far sentire al figlio quando lui
non ci sarà più. Non si tratta di un’invenzione del regista, né di una
creazione di Cipriani, ma di un vero “concerto in do minore per oboe e
orchestra” composto da Alessandro Marcello (non dal fratello Benedetto, come
scrivono alcuni), trascritto e diretto da Giorgio Gaslini. Un altro inserto
musicale arrangiato da Gaslini è la Quinta Sinfonia di Beethoven che Enrico
finge di interpretare in un teatro vuoto. Tutto il resto è una grande colonna
sonora sinfonica di Stelvio Cipriani, musica immortale che resiste persino a una
denuncia per plagio perché le battute iniziali sono moto simili a quelle di Love story. Ottima la regia,
caratterizzata da un moderato uso dello zoom, molti primi piani, intensi
primissimi piani, particolari degli occhi come in un western di Sergio Leone,
alcuni piani sequenza, stupende panoramiche e carrellate. Fotografia
magistrale. Vediamo un po’ di rassegna critica.
Roberto Poppi (I
Registi Italiani): “Anonimo
veneziano è un ottimo film, una storia struggente ambientata in una Venezia
in disfacimento, una grande interpretazione di Florinda Bolkan e Tony Musante,
guidati da un regista in stato di grazia”. Gian Luigi Rondi: “Una meditazione
sulla morte e sulla vita: difficili entrambe, dure, dolorose. Con lo sfondo di
una città, Venezia, che, se non è morta, sembra morente e può benissimo
venire assunta a simbolo di una simile meditazione”. Pino Farinotti (quattro
stelle): “Il primo film diretto da Enrico Maria Salerno, uno dei più grandi
successi del cinema italiano degli anni Settanta. Una Venezia fotografata
splendidamente da Marcello Gatti”. Morando Morandini (due stelle e mezzo, ma
cinque per il pubblico): “Straziante corrida coniugale sullo sfondo di una
livida laguna. Galeotte furono le musiche
settecentesche, la colonna sonora originale e la fotografia. Meglio del
contemporaneo Love story, comunque”.
Paolo Mereghetti (una stella): “Una Love
story all’italiana, uno straordinario successo di pubblico, un’opera prima
che usa tutti gli ingredienti del film patetico e strappalacrime, compreso un
attacco al divorzio diventato legge proprio in quel periodo”. Non condividiamo
una parola! Gianni Rondolino (Catalogo Bolaffi del Cinema Italiano):
“Amore e morte, un tema abusato. Enrico Maria Salerno, novello regista, ci
punta tutte le sue carte. C’erano tutti gli elementi perché la cosa riuscisse:
due personaggi giovani, belli, Venezia, infine la rivelazione della morte
imminente che fa precipitare la storia nella tragedia. Su queste basi non era
difficile comporre un film accattivante e commovente. Che negli anni Settanta
un’operazione del genere possa ancora riuscire è motivo di studio sociologico”.
Marco Bertolino (Nocturno Cinema):
“Uno dei punti di forza di Anonimo
veneziano è l’ambientazione nella Laguna che, con il suo connubio fra
romanticismo e decadenza, innesca l’esplosione del binomio eros-thanatos. Venezia non è meno protagonista dei due
fiammeggianti interpreti… un dramma che si consuma nella rievocazione dei
ricordi... personaggi affascinanti caricati di spessore simbolico… dialoghi
programmatici e teorici… un mélo
assoluto della sua epoca”. Marco Giusti (Stracult):
“Campione del lacrima movie (sic!) e
unico trionfo da regista di Enrico Maria Salerno alla sua opera prima, che non
riuscirà più a ripetere il colpaccio. Qui, nel kitsch dell’ovvietà, funziona tutto, la malattia, Venezia, la musica
di Benedetto Marcello (sic!) riletta da Stelvio Cipriani, il duo di
protagonisti. Allora fece un sacco di soldi, oggi è praticamente invisibile. Da
ragazzini storcemmo il naso. Oggi chissà…”. Di kitsch c’è solo un commento come questo, credo, infarcito di errori
e pressapochismo.
Anonimo
veneziano è recitato in inglese e i
due protagonisti (lui statunitense, lei brasiliana) sono doppiati da Sergio
Graziani e Maria Pia Di Meo. Anticipa in sala Love story e riscuote un enorme successo di pubblico: quarto
incasso stagionale, superiore al concorrente nordamericano basato su identico
tema di amore e morte. Enrico Maria
Salerno si fa venire l’idea nel 1966 e contatta Giuseppe Berto per la
sceneggiatura, ma quest’ultimo declina l’invito e opta per la sola scrittura
dei dialoghi. In realtà i dialoghi sono la sceneggiatura, perché “il film è un
solo, lungo dialogo tra i due personaggi”, come afferma lo scrittore in
un’intervista. Berto pubblica per Rizzoli la riduzione teatrale, un testo
drammatico in due atti, nel quale spiega la genesi del film con un’interessante
prefazione. Il testo ci permette di sapere che per i ruoli dei protagonisti in
un primo tempo si era pensato a Enrico Maria Salerno e Annie Girardot, ma era
stata presa in considerazione anche l’ipotesi della bergmaniana Ingrid Thulin. Berto non era molto convinto delle
capacità recitative della Bolkan, ma dopo averla incontrata si ricredette e
adattò i dialoghi in funzione dell’interprete prescelta. In calce al testo teatrale
troviamo questa postilla: “L’autore avverte che, per impegni da lui presi con
la società produttrice del film Anonimo
Veneziano, questo lavoro non potrà essere rappresentato in pubblico prima
dell’ottobre 1973”. Anonimo veneziano
è un testo teatrale così riuscito che ancora oggi viene riproposto sulle scene:
ricordiamo la recente versione interpretata da Antonella Attili e Paolo
Bessegato (2001) e quella con Masha Musy e Max Malatesta (2003).
Un film premiato dalla critica meno miope, oltre che
un successo di pubblico: David di Donatello (1971) a Florinda Bolkan (Miglior
attrice) e David Speciale e Enrico Maria Salerno. Nastro d’argento (1971) a
Marcello Gatti (Fotografia), Stelvio Cipriani (Colonna Sonora), Enrico Maria
Salerno (Regia, Soggetto e Sceneggiatura) e Giuseppe Berto (Sceneggiatura).
Titoli di altre edizioni per il mercato estero: Adieu Venise (Francia), Des
Lebens Herrlichkeit (Germania).