martedì 12 aprile 2016

Il lungo giorno del massacro (1968)

di Alberto Cardona
 
 
Regia: Alberto Cardona (Albert Cardiff). Soggetto: Mario Gariazzo. Sceneggiatura: Mario Gariazzo, Alberto Cardone, Armando Morandi. Scenografia: Oscar Capponi. Montaggio: Alberto Cardone. Fotografia: Aldo Greci. Musiche: Michele Lacerenza. Arrangiamenti: Umberto Pregadio. Pellicola: Eastmancolor/ Ultrascope. Produttore: Armando Morandi. Casa di Produzione: Vivian Film (Roma). Distribuzione: La Metis Film. Interni: Stabilimenti De Laurentiis (Roma). Interpreti: Peter Martell (Pietro Martellanza) (Joe Williams), Glenn Saxson (Evans), Manuel Serrano (Pedro la Muerte), Liz Barret (Luisa Baratto) (Linda), Daniela Giodano (Paquita), Franco Fantasia (il giudice), Ralph Webb, Andrea Fantasia, Gaetano Imbrò, Ugo Adinolfi. 
 
La locandina francese
 
Alberto Cardona gira uno dei suoi ultimi western con il consueto pseudonimo di Albert Cardiff, cura il montaggio e in parte anche la sceneggiatura, adattando - con il produttore Morandi - un soggetto ai minimi termini di Mario Gariazzo (pure lui sceneggiatore). Tre teste e sei mani per partorire uno dei più scadenti e scontati spaghetti-western della storia, una via di mezzo con il tortilla-western per la presenza dei banditi messicani. Si narra la storia di Joe Williams (Martellanza), sceriffo dai metodi spicci, accusato dal giudice (Fantasia) di uccidere i delinquenti invece di arrestarli e rimosso dall’incarico a favore del vice sceriffo Evans (Saxson). Il soggetto del film sta tutto nella fuga di Joe e nella sua guerra privata contro una banda di feroci messicani, capitanata da Pedro la Muerte (Serrano) e dalla sua donna Paquita (Giordano), che vogliono recuperare un bottino di dollari nascosti dallo sceriffo. Tra cavalcate interminabili, sparatorie e cazzottate con poco senso, si arriva a un finale piatto e privo di suspense che vede lo sceriffo riabilitato tornare al paese insieme al suo vice, che ha appena salvato da un agguato.
 
Pietro Martellanza, certo Peter Martell fa un altro effetto...
 
Poco memorabile, a parte la nota di merito di aver ambientato un film western nelle campagne romane, smascherate dal famoso laghetto con cascate di Manziana, luogo storico del cinema bis. Girato con pochi soldi ma ancor meno fantasia, in fretta e furia, al punto da sembrare un film senza sceneggiatura, improvvisato durante la lavorazione sulla base di un modesto canovaccio. Molte le parti convenzionali e ripetitive così come sono interminabili le sequenze a cavallo e le cazzottate tra rivali. Daniela Giordano ricopre un ruolo interessante, come donna del cattivo, pure lei perfida quanto basta perché ogni volta si occupa di incitare gli uomini della banda a violentare e uccidere la donna di turno. Il regista la presenta nelle prime sequenze in una posa sexy, camicetta rossa e gonna corta, insolita per un western, così come non è consueto che una donna abbia un ruolo negativo all’interno di una banda criminale.
 
 
Luisa Baratto, in arte Liz Barret
 
Altra sequenza originale vede Paquita strappare le vesti a Linda - la donna di Joe - per indurre lo sceriffo a parlare. Fine dei pregi, perché gli attori non sono in gran forma, Saxson e Serrano hanno fatto di meglio, Martellanza pare completamente fuori ruolo, Fantasia è un giudice diligente. Musica ridondante ed eccessiva ma tutto sommato ben arrangiata, pure se spesso copre i dialoghi e non assicura la dovuta tensione. Alcuni pregi tipici del western italiano: vento, polvere, realismo della vita dei villaggi, il cialtrone che vende elisir di lunga vita, il vecchietto tipico e un’atmosfera abbastanza azzeccata. Mancano del tutto suspense narrativa e tensione, così come l’originalità è quasi inesistente. Ogni sequenza ha il sapore del già visto.
 
Ancora Liz Barret con Glen Saxson
 
La critica. Paolo Mereghetti (una stella): “Un ex sceriffo dai metodi brutali è accusato ingiustamente dell’omicidio di una coppia di agricoltori: saprà dimostrare coi fatti la propria innocenza. Western all’italiana modesto e scontato”.  Non è proprio questa la storia, forse il critico milanese non ha fatto la fatica di vedere il film, ma le conclusioni sono condivisibili. Conferma una stella Morandini, anche se indica con due stelle il giudizio del pubblico, ché nelle sale di terza visione certi film andavano forte. Pino Farinotti è come sempre il più buono e concede due stelle, senza motivare. Matteo Mancini (Spaghetti Western vol. 3 - Il mezzogiorno di fuoco del genere): “Girato in fretta e furia da Cardone con capitali modesti e un cast ridotto all’osso. Nulla di nuovo per quello che viene considerato da tutti un western poco riuscito. Visto da pochissimi. Quarta serie, nulla a che vedere con i primi western di Cardone”.
 
Daniela Giordano, non in questo film
 
Alberto Cardone (Genova, 1920 - Roma, 1977) comincia a lavorare nel cinema a 22 anni, come aiuto di Cristian-Jacques, fino al 1966 collabora con autori del calibro di John Brahm, Duvivier, De Toth, Bernhardt, Wyler e Fleischer. Ispettore di produzione, montatore, documentarista, debutta alla regia nel 1964, per i primi film di supporto a colleghi tedeschi. Firma alcune pellicole di genere - di solito con lo pseudonimo anglofono Albert Cardiff - soprattutto spaghetti-western, tecnicamente buoni, pur se non molto originali. Muore dimenticato a soli 57 anni, anche se in vita era apprezzato anche all’estero per le sue doti tecniche.

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